Fidel Castro: Concetto di Rivoluzione

Revolución
Es sentido del momento histórico;
es cambiar todo lo que debe ser cambiado;
es igualdad y libertad plenas;
es ser tratado y tratar a los demás como seres humanos;
es emanciparnos por nosotros mismos y con nuestros propios esfuerzos;
es desafiar poderosas fuerzas dominantes dentro y fuera del ámbito social y nacional;
es defender valores en los que se cree al precio de cualquier sacrificio;
es modestia, desinterés, altruismo, solidaridad y heroísmo;
es luchar con audacia, inteligencia y realismo;
es no mentir jamás ni violar principios éticos;
es convicción profunda de que no existe fuerza en el mundo capaz de aplastar la fuerza de la verdad y las ideas.
Revolución es unidad, es independencia, es luchar por nuestros sueños de justicia para Cuba y para el mundo, que es la base de nuestro patriotismo, nuestro socialismo y nuestro internacionalismo.

Fidel Castro Ruz (1ro de mayo del 2000)

7.1.10

Il decennio che ha cambiato il mondo





Il decennio che abbiamo lasciato alle spalle sarà ricordato soprattutto per il fallimento delle politiche di aggressione e di imposizione del neoliberismo volute dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. L’aggressione militare che avrebbe dovuto dare inizio al dominio assoluto dell’impero sull’intero pianeta ha trovato nella reazione dei popoli aggrediti una risposta inaspettata, le guerre lampo previste si sono trasformate in guerre senza fine, in nuovi Vietnam che stanno mettendo in crisi lo strapotere bellico dell’impero e l’economia capitalista che sta pagando un prezzo elevatissimo per sostenere queste politiche folli e criminali.
Insieme alle aggressioni belliche negli ultimi decenni si sono rivelate devastanti pure le politiche economiche neoliberali che l’impero intendeva imporre ad ogni latitudine del pianeta. Le economie, quelle dei paesi poveri in primis ma anche quelle dei paesi ricchi come quelli europei, hanno dovuto fare i conti con i disastri provocati da sistemi economici che vedono le ricchezze sempre più concentrate in poche mani e la riduzione in povertà di fasce sociali che fino ad ora con la loro capacità di consumo garantivano il funzionamento dell’economia. Se si aggiunge l’affacciarsi sullo scenario mondiali delle economie emergenti, la situazione si fa ancora più drammatica. Cina, India, Brasile, Sudafrica ed altri paesi emergenti stanno rapidamente conquistando i mercati globali mettendo in crisi i sistemi produttivi che fino ad ora hanno fatto il bello ed il cattivo tempo a loro piacimento. Pure la Russia, in profonda crisi dopo il fallimento del sogno capitalista, sta recuperando la sua indipendenza economica e cerca di riproporsi come potenza alternativa all’occidente mentre le repubbliche islamiche, dopo l’invasione dell’Iraq, stanno resistendo, Iran in testa, al tentativo di omologazione messo in atto dall’occidente con l’aggressione mediatica che vuole additare questi paesi come fonti di terrorismo e di pericolo nucleare. Un’aggressione mediatica che fa sempre più fatica a nascondere la realtà: le armi di distruzione di massa che preoccupano non sono quelle che la propaganda bellicista occidentale attribuisce all’Iraq, all’Iran, alla Corea del Nord ed agli altri “stati canaglia” ma sono ben custodite al Pentagono e nelle basi militari USA sparse per tutto il pianeta (con particolare concentrazione in Italia, paese completamente appiattito agli interessi nordamericani che ha perso qualsiasi apparenza di indipendenza e libertà, anche se i nostri media usano a sproposito questi termini nel tentavo ridicolo, ma purtroppo efficace per la maggioranza dei cittadini rincoglioniti da un’informazione totalmente assoggettata agli interessi dei suoi padroni, di nascondere la realtà dei fatti). Purtroppo sappiamo che oltre che ben custodite queste devastanti armi di distruzione di massa vengono anche frequentemente utilizzate direttamente dagli Usa o da paesi, come Israele, che definire loro bracci armati è dire poco.
Indubbiamente sul piano economico l’egemonia americana sta mostrando tutti i suoi affanni mentre il secolo che si è aperto si sta sempre più rivelando come il secolo del gigante asiatico. Mentre l’economia occidentale è alle prese con una delle sue peggiori crisi, quella cinese, pur rallentata dalla crisi mondiale, continua la sua corsa. E non sarà con scellerate politiche di chiusura e barriere doganali, come sostenuto dai nostri nani politici populisti, che ci si può confrontare con questa nuova realtà. Lo stesso Obama durante il suo recente viaggio in Cina ha dovuto constatare che i tempi in cui l’occidente poteva imporre i propri voleri con arroganza sono finiti. Alle richieste del presidente americano di adeguare la loro economia alle esigenze dell’occidente, i dirigenti cinesi hanno risposto picche, magari gli hanno pure ricordato che hanno nelle loro mani l’immenso debito pubblico degli Stati Uniti. Al deludente Obama non è rimasto che tornarsene a casa con le pive nel sacco.
Ma sembra che la lezione non sia bastata, infatti lo scandaloso neo premio Nobel per la Pace ha pensato bene di incrementare l’impegno militare messo in atto dal suo vile predecessore. Non ha capito che questa politica segnerà ancora di più le economie occidentali a tutto vantaggio di quelle emergenti, non ha capito che i cinesi conquistano i mercati mondiali investendo in tecnologie sempre più innovative e soprattutto si rapportano in maniera pacifica con tutti i popoli del pianeta. I cinesi non investono in aggressioni militari dissennate, piuttosto si limitano a fortificare il sistema difensivo, ma trattano alla pari con tutto il mondo come partner in affari. Hai voglia di parlare di pericolo giallo e di cercare di ridicolizzarli, questi stanno mettendo in campo intelligenze e competenze, altro che stupidi Marines spacciati come eroi che difendono la democrazia! I tempi delle illusioni mediatiche sono finiti e miliardi di persone chiedono il loro diritto al benessere offrendo tutte le loro capacità e la loro voglia di emancipazione. Voglio vederli i Marines che attaccano la Cina, magari con la scusa del Dalai Lama….
Ma il fallimento delle politiche aggressive con l’imposizione del neoliberismo non si ferma qui, il peggior fiasco si è manifestato in America Latina, il cortile di casa dell’impero. Qui, dopo le dittature militari che hanno preparato la strada al neo-liberismo che ha raschiato il fondo del barile, queste politiche hanno manifestato tutta la loro inadeguatezza. In un continente sottoposto da oltre cinque secoli ad aggressioni di ogni tipo, le risposte dei popoli non si sono fatte attendere. Le crisi economiche di fine secolo, tra le altre quelle del Messico nel 1994, del Brasile nel 1999 e dell’Argentina del 2001, hanno devastato quelle economie e mobilitato milioni di persone stanche di pagare il conto di politiche dissennate. Al Brasile di Cardoso, presunto socialdemocratico amato dalla “sinistra” europea che ha portato avanti strategie reazionarie e di totale sottomissione al neoliberismo imperialista, è seguito il pragmatico ed avveduto leader operaio Lula, ovviamente meno gradito alla nostra ridicola elite progressista, che ha saputo superare la crisi economica e proporre politiche di sviluppo sociale che stanno dando i loro frutti. L’Argentina sfasciata da Menem ha trovato in Kirchner prima, e nella moglie Cristina Fernandez poi, due Capi di Stato coraggiosi capaci di rimettere in sesto una nazione destinata ad un sicuro fallimento. Perfino quello che veniva considerato la Svizzera del Sudamerica, l’Uruguay, di fronte alle devastazioni neoliberali ha deciso di affidarsi a dirigenti progressisti, al più moderato Tabarè Vazquez è seguito l’ex guerrigliero Pepe Mujica in un processo di profondo rinnovamento politico, sociale ed economico. E pure il Paraguay ha deciso di dire basta eleggendo Fernando Lugo, prete progressista, alla carica di Presidente. Mentre in Cile le politiche progressiste seguite alla cacciata di Pinochet hanno permesso di evitare il tracollo, in Perù il Presidente intrallazzatore Fujimori è stato costretto alla fuga dalla rabbia popolare, anche se il suo successore pur definendosi socialista non ha saputo prendere le distanze dalla dipendenza dall’impero. Ed i risultati purtroppo si vedono in quel paese dove non si notano ancora politiche reali in grado di affrontare la precarietà di milioni di poveri e di indigeni che continuano a rimanere gli esclusi di sempre.
Ma i maggiori grattacapi per le mire imperialiste del gigante del nord arrivano dal Venezuela di Chàvez, dalla Bolivia di Evo Morales e dall’Ecuador di Rafael Correa. Qui si è trattato di vere e proprie rivoluzioni che hanno cambiato letteralmente faccia a quei paesi dove milioni di diseredati dimenticati dalla storia hanno finalmente incominciato a far sentire la propria voce rivelandosi determinanti per quello che sembra ormai il secolo della definitiva indipendenza ed integrazione di tutto il continente. In questi paesi, malgrado la crisi mondiale si segnalano ottimi tassi di sviluppo e recentemente l’UNESCO li ha definiti, come Cuba, liberi da analfabetismo grazie alla collaborazione offerta dall’isola che resiste da oltre mezzo secolo alle aggressioni imperialiste. Per non parlare dell’estensione a tutta la popolazione, anche quelle da sempre escluse che vivono nelle regioni più remote, delle cure ed attenzioni mediche sfruttando la collaborazione cubana che sta portando la sua esperienza in molti paesi poveri del pianeta. Fatti concreti dunque, non parole e stupida propaganda.
Ma l’impero non sta sicuramente a guardare e sta già mettendo in campo le sue nuove strategie. Ai tempi dell’insignificante Bush figlio completamente incapace di assumere decisioni proprie e burattinaio stolto in mano alle più potenti lobby internazionali, al fallimento delle dittature imposte in ogni angolo del pianeta si decise di rispondere incrementando gli interventi aggressivi a suon di bombe intelligenti, ma già gli strateghi americani avevano pensato a strategie più raffinate, quelle che si potrebbero chiamare dei “colpi di stato alternativi”. Queste tattiche, già sperimentate nell’ex Unione Sovietica sfruttando l’ingenuità di Gorbaciov e la complicità di Eltsin, altro ubriacone altrettanto facilmente manovrabile, consistono nel mettere in atto dei veri e propri colpi di stato che l’informazione globalizzata riesce a far passare per sollevazioni popolari. È il caso delle rivoluzioni colorate tipo quella arancione messa in campo in Ucraina e, con modalità diverse ma molto simili, in altri paesi nati dalla dissoluzione dell’ex URSS. Con l’arrivo di Obama, come sempre quando al potere della superpotenza imperiale arriva un personaggio meno ripugnante perché “democratico e progressista”, queste strategie si sono fatte ancora più raffinate. L’esempio più eclatante è stato il colpo di stato in Honduras, vero esempio di maestria mediatica unita a sfrontatezza politica senza precedenti avallata vergognosamente dalla vigliaccheria dell’Europa. Se a tutto questo si unisce anche la questione delle basi americane installate in Colombia ed alle continue provocazioni che da questo paese guidato da Uribe, uno dei più fedeli alleati di Washington pure lui molto amato dalla nostra sinistra, partono verso il Venezuela di Chàvez, non è difficile capire quali sono le intenzioni dell’imperialismo. Ed ultimamente le destre reazionarie di Venezuela, Bolivia ed Ecuador si stanno agitando in maniera preoccupante ed è di questi giorni la denuncia di Fernando Lugo, Presidente del Paraguay, di pericolosi tentativi di destabilizzazione.
Se la prima decade del nuovo secolo ha sicuramente segnato un notevole passo in avanti verso l’emancipazione dei popoli, non bisogna assolutamente sottovalutare i pericoli rappresentatati dal mostro ferito. Ferito ma non ancora morto, e si sa che un mostro ferito è capace di qualsiasi nefandezza.