Fidel Castro: Concetto di Rivoluzione

Revolución
Es sentido del momento histórico;
es cambiar todo lo que debe ser cambiado;
es igualdad y libertad plenas;
es ser tratado y tratar a los demás como seres humanos;
es emanciparnos por nosotros mismos y con nuestros propios esfuerzos;
es desafiar poderosas fuerzas dominantes dentro y fuera del ámbito social y nacional;
es defender valores en los que se cree al precio de cualquier sacrificio;
es modestia, desinterés, altruismo, solidaridad y heroísmo;
es luchar con audacia, inteligencia y realismo;
es no mentir jamás ni violar principios éticos;
es convicción profunda de que no existe fuerza en el mundo capaz de aplastar la fuerza de la verdad y las ideas.
Revolución es unidad, es independencia, es luchar por nuestros sueños de justicia para Cuba y para el mundo, que es la base de nuestro patriotismo, nuestro socialismo y nuestro internacionalismo.

Fidel Castro Ruz (1ro de mayo del 2000)

28.6.06

Onorificenze



In questi giorni tutti parlano di calcio e di referendum perciò avevo deciso di non trattare questi argomenti. Poi mi è arrivato via e-mail questo documento, che condivido quasi in toto, e ho cambiato idea.

La Signora Costituzione è salva: Governo, adesso batti un colpo!
di Paolo Farinella, prete
1. Mai come oggi sono così fiero di «fare schifo» all’europarlamentare Francesco Speroni. Sono stato «coglione», «indegno» e ora un «Italiano che fa schifo». Di questo passo si sta inventando una nuova serie di onorificenze che potrebbero essere dati a chi più si è distinto nelle rispettive specialità: la destra ne farebbe il pieno, visto che sono specialisti impareggiabili in ogni disciplina. Se poi aggiungiamo un pizzico di giaculatorie, raccolte con devozione dal deputato Luca Volontè a spese dei contribuenti, – che possiamo dire? – la perfezione è totale.
2. La Signora Costituzione è salva, la Baldracca è stata rinviata al mittente. Eccetto Lombardia e Veneto, tutta l’Italia ha votato «NO». Con ampio margine. E’ un grande giorno, memorabile giorno! Archiviata la teoria delle votazioni, chiediamo al governo di governare, dando un colpo di reni di dignità e recuperando l’ignobile scenario con cui ha esordito. Speravamo in un segno visibile e chiaro come la diminuzione del 50% dei ministeri e dei sottosegretariati. Abbiamo visto la moltiplicazione per appetitum. Il centro-sinistra ha dato l’impressione che «destra e sinistra» pari sono: assetati di potere, di poltrone, di prebende, di strapuntini, di tramezzini, di inciviltà.
3. E’ stato arrestato un certo Vittorio Emanuele Savoia. Un emerito imbelle, nemmeno furbo. Vedo che i giornali, gli avvocati e molti altri si ostinano a chiamarlo «principe», mentre suo figlio, uno spermatozoo dalla «erre moscia», si fregia del titolo di «principe di Napoli». A parte che Napoli è territorio della indivisa Repubblica italiana, c’è ancora bisogno di ricordare a tutti, a quelli che hanno votato «NO» e a quelli che votando «SI» nel referendum costituzionale fresco fresco che la XII disposizione transitoria della nostra cara vecchia e sana Costituzione abolisce tutti i titoli e fregi reali? Per la nostra giurisprudenza pertanto i titoli regali (?) sono inesistenti e quindi illeciti? Perché «la Repubblica» e gli altri giornali continuano a disattendere la Costituzione che pure hanno così strenuamente difeso? Perché il governo non emana un decreto in cui ristabilisce l’ordine costituzionale, pretendendo da questi straccioni rispetto della Carta?
4. L’avvocato di questo esemplare di nobiltà scaduta, Giulia Buongiorno, è parlamentare di an e come tale percepisce uno stipendio lauto, mentre di fatto trascorre il suo tempo a difendere un uomo senza onore e dignità. Libera come neo-fascista di difendere chi vuole, ma per favore dia le dimissioni da parlamentare o almeno dallo stipendio di parlamentare. Nella precedente legislatura, Pecorella e Ghedini, dormivano anche in tribunale dietro le cause di Berlusconi, continuando a percepire e gli emolumenti parlamentari e le parcelle di avvocati. Chiediamo al governo un piccolo decreto legge, con effetto immediato del seguente tenore:
«1. La carica di deputato, di senatore, di europarlamentare, di governatore, di consigliere regionale, di presidente della provincia, di sindaco (in comuni sopra i 15 mila abitanti), sono incompatibili con qualsiasi altra funzione, professione o impiego. Chi è eletto può esercitare solo il mandato per cui è stato eletto. Per continuare ad esercitare la professione antecedente è necessario dimettersi dalla carica elettiva e le dimissioni sono automatiche, senza avallo della camera di appartenenza.
2. Chi vuole accedere ad una carica elettiva, deve dimettersi dalla professione antecedente almeno un anno prima della data d’inizio della campagna elettorale e non può presentarsi nel distretto dove ha esercito negli ultimi cinque anni.
3. Le pene per gli inadempienti sono: a) radiazione permanente da ogni albo professionale; b) una multa pecuniaria non inferiore al 20% del fatturato del penultimo anno; c) la restituzione di tutti gli emolumenti percepiti illecitamente; d) l’inelegibilità attiva permanete.
4. I commi precedenti si applicano analogicamente anche a tutti i giudici». Questo per cominciare. Il resto alla prossimo puntata.
Paolo Farinella, prete

Ps. Al popolo delle primarie che ha portato il centro-sinistra al governo della Nazione, non piace affatto il modo scollato, disarticolato, immaturo e demente con cui i partiti si rintuzzano tra loro senza preoccuparsi nemmeno di salvaguardare una decente convergenza. C’è un programma? Si esegua! Punto. Anzi «due punti».

24.6.06

Diritti umani



In tema di diritti umani ci informano di tutto. Proprio tutto? Per esempio sul conflitto nella ex Jugoslavia qualcuno ha mai letto le ragioni dei serbi?. Bel modo di informare, si pubblicano solo i punti di vista propagandati dalla “più grande democrazia del mondo” e dei suoi alleati per giustificare interventi di normalizzazione. Sulle violazioni a Cuba ho letto solo scemenze propagandistiche e mai ho visto riportato il punto di vista cubano. Per chi volesse entrare nel merito della questione pubblico la traduzione dell’intervento del Ministro degli Esteri cubano Felipe Perez Roque al Consiglio dei Diritti Umani. Ovviamente non lo si trova sui nostri democratici mezzi di informazione sempre pronti a pubblicare qualsiasi stupidata detta dai "dissidenti cubani" lautamente finanziati dagli USA.

INTERVENTO DI FELIPE PÉREZ ROQUE, MINISTRO DEGLI ESTERI DELLA REPUBBLICA DI CUBA, NEL SEGMENTO DI ALTO LIVELLO DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI
Eccellenze:
Oggi è un giorno particolarmente simbolico. Cuba è membro fondatore del Consiglio dei Diritti Umani e gli USA no. Cuba è stata eletta da una schiacciante maggioranza di 135 paesi, più di due terzi dell’Assemblea Generale dell’ONU, mentre gli Stati Uniti non si sono nemmeno azzardati a presentarsi come candidati. Cuba confidava nel voto segreto per gli stessi motivi che gli USA lo temevano.
L’elezione di Cuba è la vittoria dei principi e della verità, è il riconoscimento al valore della nostra resistenza. L’assenza degli Stati Uniti è la sconfitta della menzogna, è il castigo morale all’arroganza di un impero.
L’elezione ha presupposto un’esigente valutazione. Ciascuno ha ricevuto quel che meritava. Cuba è stata premiata e gli USA puniti. Ognuno aveva la sua storia ed i paesi che hanno votato la conoscevano bene. I paesi africani ricordavano che più di duemila combattenti cubani versarono il loro sangue generoso nella lotta contro l’obbrobrioso regime dell’apartheid, sostenuto e armato dagli USA anche con ordigni nucleari.
Cuba è arrivata all’elezione con quasi trentamila dei suoi medici disseminati nel mondo a salvare vite e ad alleviare il dolore in 70 paesi, mentre gli USA vi sono arrivati con centocinquantamila soldati invasori, inviati a morire ed uccidere in una guerra ingiusta ed illegale.
Cuba vi è arrivata con più di trecentomila pazienti di 26 paesi dell’America Latina e dei Caraibi che hanno recuperato la vista grazie alle chirurgie gratuite realizzate da oftalmologi cubani; gli USA con più di centomila civili assassinati e duemilacinquecento giovani nordamericani morti in una guerra combattuta per rubare il petrolio di un paese e regalare sostanziosi contratti ad un gruppo di amichetti del Presidente dell’unica superpotenza del mondo.
Cuba è arrivata all’elezione con più di venticinquemila giovani di 120 paesi del Terzo Mondo che studiano gratuitamente nelle sue università; gli USA con un campo di concentramento a Guantánamo, dove i prigionieri vengono torturati e dove i carcerieri hanno dichiarato ufficialmente che il suicidio di tre esseri umani "non è un atto di disperazione, ma di guerra e propaganda".
Cuba è arrivata all’elezione mentre i suoi aerei stavano trasportando medici cubani ed ospedali da campo in località colpite da disastri naturali ed epidemie; Gli Stati Uniti mentre i loro aerei stavano trasportando segretamente da un carcere all’altro prigionieri drogati e legati.
Cuba è arrivata all’elezione proclamando il primato del diritto sulla forza, difendendo la Carta delle Nazioni Unite, reclamando un mondo migliore e lottando per realizzarlo; gli USA vi sono arrivati proclamando che "se non sono con noi sono contro di noi".
Cuba è arrivata all’elezione proponendo di utilizzare il milione di milioni di dollari che annualmente viene speso in armi alla lotta contro la morte per cause che si possono prevenire di undici milioni di bambini minori di cinque anni e di seicentomila donne povere, che muoiono di parto ogni anno. Gli USA vi sono arrivati proclamando il loro diritto a bombardare e radere al suolo "preventivamente" quando i loro disegni incontrano opposizione quel che hanno chiamato con disprezzo "qualsiasi oscuro angolo del mondo" e perfino la città de L’Aja, se la Corte Penale Internazionale pretendesse di giudicare un soldato nordamericano.
Mentre Cuba difendeva i diritti del popolo palestinese, gli Stati Uniti erano il principale sostegno dei crimini e delle atrocità d’Israele.
Mentre l’Amministrazione nordamericana abbandonava centinaia di migliaia di persone (in maggioranza neri e poveri) sinistrate dall’uragano Katrina alla loro sorte, Cuba offriva l’invio immediato di 1.100 medici, che avrebbero potuto salvare vite e alleviare le sofferenze. Potrei continuare ad esporre ragioni fino a domani. Voglio soltanto aggiungere che a non occupare un seggio come membro del Consiglio è il Governo degli USA e non il suo popolo. Il popolo nordamericano verrà rappresentato da altri, anche da Cuba. La nostra delegazione si farà portavoce anche dei diritti del popolo nordamericano e, in particolare, dei suoi settori più discriminati ed esclusi.
Va detto che gli USA non sono stati soli nelle loro grossolane e disperate manovre e pressioni tese ad impedire l’elezione di Cuba. Un piccolo gruppo di alleati li ha accompagnati fino alla fine. Sono quelli di sempre. Beneficiari dell’ingiusto e discriminatorio ordine mondiale, in maggioranza vecchie metropoli coloniali, che non hanno ancora pagato il loro debito storico con le loro ex colonie.
Cuba conosce perfettamente, fin nei minimi dettagli, l’accordo segreto negoziato a Bruxelles attraverso il quale l’Unione Europea si è impegnata a non votare per Cuba ed a lavorare a stretto contatto con gli USA contro la nostra candidatura. Ma hanno clamorosamente fallito. Cuba è stata eletta senza il loro appoggio ed il suo scomodo alleato, del quale hanno bisogno come gendarme a garanzia dei loro privilegi e della loro opulenza scialacquatrice, non si è nemmeno potuto candidare all’elezione.
Nei corridoi e nei saloni di questo edificio si ascoltano adesso ripetuti appelli ad un "nuovo inizio" e a far circolare "aria fresca nel nuovo Consiglio" proprio da parte degli stessi che sono responsabili della manipolazione, dell’ipocrisia e della politica discriminatoria che hanno fatto naufragare la precedente Commissione. Occorre segnalare che un nuovo inizio non può essere costruito dimenticandosi di quel che è successo o facendo finta che un po’ di retorica edulcorata possa risolvere i problemi. Abbiamo bisogno di fatti e non di parole.
Se le dichiarazioni dei portavoce dell’Unione Europea sono sincere e ci troviamo di fronte veramente ad un mea culpa, allora siamo ancora in attesa di una rettifica. Non per Cuba. Non perchè si siano accordati con gli USA per cercare di impedire la nostra elezione. Non perchè non sono mai stati capaci di portare avanti una politica etica e indipendente nei confronti di Cuba.
Ci aspettiamo una rettifica nella condotta dell’Unione Europea, che l’anno scorso ha impedito che la Commissione sui Diritti Umani approvasse un’indagine sulle massicce, flagranti e sistematiche violazioni dei diritti umani nella base nordamericana di Guantánamo.
Una rettifica del complice silenzio con il quale hanno permesso l’effettuazione di centinaia di voli segreti della CIA che hanno trasportato persone sequestrate e l’installazione di carceri clandestine nello stesso territorio europeo, nelle quali i prigionieri vengono torturati e vessati. L’Unione Europea ha ipocritamente ostacolato fino ad oggi le indagini ed i chiarimenti su questi fatti.
L’Unione Europea non ha avuto il valore di sanzionare esemplarmente le miserabili manifestazioni di mancanza di rispetto contro altre religioni e costumi.
L’Unione Europea è stata complice degli Stati Uniti nella trasformazione della vecchia Commissione in una sorta di tribunale dell’Inquisizione contro i paesi del Sud. Ci aspettiamo che la cosa non si ripeta adesso.
L’UE non ha nemmeno riconosciuto il suo debito storico con i quasi 100 paesi, oggi nazioni indipendenti dopo anni di lotte e sacrifici, che erano le sue saccheggiate colonie quando, 57 anni fa, venne approvata la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nella quale si affermava paradossalmente che: "Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti".
Eccellenze:
Questa sessione può segnare l’inizio di una nuova fase nella lotta per creare un vero sistema di promozione e protezione di tutti i diritti umani per tutti gli abitanti del pianeta e non solo per quelli ricchi e privilegiati. Per questo ci sarà bisogno di un cambiamento radicale, di una vera rivoluzione rispetto alle concezioni e metodi che caratterizzavano la vecchia Commissione.
Cuba non si fa illusioni sulle reali intenzioni dei paesi sviluppati, alleati degli USA, a fare questo passo profondamente significativo e di portata storica. Tuttavia concederà loro il beneficio del dubbio. Aspetterà e li osserverà.
Se si lavorerà per trasformare in realtà le promesse che sono state proclamate a tutti i venti si potrà contare su Cuba. Se quanto avvenuto in passato si ripeterà ed il Consiglio tornerà ad essere un campo di battaglia, si può scommettere fin da ora sul fatto che Cuba sarà un’altra volta una combattente nelle trincee d’idee del Terzo Mondo.
Non si potrà contare su Cuba per trasformare il Consiglio in un tribunale che giudichi esclusivamente i paesi sottosviluppati e assicuri l’impunità a quelli del Nord. Non si potrà nemmeno utilizzare la clausola di sospensione dal Consiglio degli Stati ribelli, nè continuare ad utilizzare in maniera discriminatoria e di parte le risoluzioni sui paesi per punire quelli che non abbassano la testa.
Non si potrà utilizzare il nuovo meccanismo di revisione periodica universale come strumento per nuove pressioni e campagne mediatiche, non si potrà contare su Cuba.
E tantomeno si potrà contare su Cuba per difendere la menzogna ed agire ipocritamente.
Si potrà contare su Cuba per lottare per la verità e la trasparenza, per difendere il diritto all’indipendenza, alla libera determinazione, alla giustizia sociale, all’uguaglianza; per difendere il diritto all’alimentazione, all’educazione, alla salute, alla dignità, al diritto ad una vita decorosa.
Per difendere la democrazia reale, la vera partecipazione, l’esercizio reale di tutti i diritti umani si può contare su Cuba.
Per cooperare con lo spurio mandato di qualsiasi inviato, rappresentante o relatore imposto con la forza ed il ricatto, non si può contare sulla collaborazione di Cuba. Per cooperare su un piano d’uguaglianza con gli altri, con il Consiglio ed i suoi meccanismi non discriminatori si può contare su Cuba.
Ed infine, a nome del popolo cubano che là nella nostra Patria sogna, costruisce e difende la sua Rivoluzione, ringrazio in maniera particolare i nostri fratelli del Terzo Mondo per il loro decisivo sostegno all’elezione di Cuba come membro del Consiglio dei Diritti Umani e assicuro loro una volta di più che noi cubani non tradiremo mai la fiducia che depositate in noi.
Abbiamo un messaggio per coloro che appoggiano la lotta di Cuba per i suoi diritti, che è anche la lotta per i diritti di tutti i popoli del Terzo Mondo e delle forze progressiste e democratiche nel Primo Mondo: Fino alla vittoria sempre!
Per coloro che aggrediscono Cuba e per i loro complici abbiamo un altro messaggio: Patria o morte! Vinceremo!

21.6.06

Juntos Podemos Mas


Il 20 marzo 2006 presso la Camera del Lavoro di Milano c’è stato un incontro con Tomàs Hirsch, del Partito Umanista cileno e candidato del raggruppamento di sinistra Juntos Podemos Mas che alle recenti elezioni in Cile si è qualificato come terza forza politica dopo gli schieramenti di centrosinistra e centrodestra. Io ritengo che esperienze come quella che Hirsch racconta dovrebbero interessare la nostra sinistra che sembra invece più affascinata dalla Bachelet, neoeletta Presidente del Cile.
Juntos Podemos Mas è il primo esempio di alternativa unitaria delle sinistre cilene dopo l’esperienza di Salvador Allende. Il successo di questa alleanza indica la possibilità di costruire un’alternativa senza dover sottostare a dei ricatti o essere costretti a votare turandosi il naso. Per capire come la pensa Tomàs Hirsch, basta saper che incontrando in Cile il neo Presidente della Bolivia Evo Morales ha detto: “Per noi è motivo di orgoglio e allegria ricevere il Presidente della Bolivia Evo Morales, vogliamo esprimergli la nostra solidarietà e la più profonda gratitudine per il processo rivoluzionario di cui egli è portavoce”. Durante l’interessante incontro di Milano Tomàs Hirsch ha affrontato i temi dei profondi cambiamenti in atto nel continente, cambiamenti che sembrano destinati a realizzare i sogni di Simon Bolivar e di Ernesto Guevara di vedere concretizzarsi le aspirazioni di emancipazione del Latinoamerica dalla secolare sottomissione di quei popoli agli interessi dell’imperialismo.
Secondo Tomàs Hirsch, il golpe militare non ha solo assassinato e fatto sparire molte persone, ma ha anche distrutto completamente l’organizzazione sociale del Paese.
Il sistema neoliberale, che sembra tanto potente e imbattibile, sta avendo delle profonde fratture.
In Venezuela sembrava impossibile che si potesse abbattere il sistema di due partiti corrotti che si alternavano al governo. Così come in Bolivia nessuna avrebbe mai pensato che il leader degli indigeni potesse diventare Presidente. E nessuno avrebbe detto che in Brasile un lavoratore senza nessun titolo di studio arrivasse al potere.
In Cile la situazione è più arretrata a causa delle divisioni della sinistra. Il modello neoliberale cileno è in crisi perché incapace di rispondere alle necessità della popolazione, però se la gente non si organizza troveranno il sistema per portarlo avanti. Per questo è importante lavorare uniti e questo è il progetto di Juntos Podemos, l’unico in grado di cambiare il Cile e di sconfiggere il progetto neoliberale. I popoli latinoamericani stanno cercando nuove risposte, che sono simili nei diversi Paesi. E’ necessario agire insieme per creare le condizioni per il cambiamento. L’azione si deve muovere su due assi, quello elettorale e quello della mobilitazione della popolazione. Ed è necessario essere presenti nei settori più emarginati della società. Perché la gente torni ad avere fiducia che il cambiamento è possibile. La gente in Cile ha passato gli ultimi decenni accontentandosi delle briciole però ora sta cominciando a pensare di essere stati ingannati.
Hirsch si dice convinto che Michelle Bachelet sia una buona persona e che stia portando avanti un processo di cambiamento socioculturale in Cile ma che la sua critica va verso la coalizione che la sostiene, una coalizione che si è voluta chiamare di centrosinistra dove però partecipano partiti che sono di destra e che hanno sempre sostenuto il modello neoliberale. Perché, si chiede Hirsch, dovrei appoggiare una coalizione che porta avanti un discorso neoliberale? Ci dicono che se non votiamo per il centrosinistra vincerà Pinera, che è il Berlusconi cileno. Perché utilizzare i voti di Junto Podemos per sostenere un programma che non è il nostro anziché guardare a quei voti come ad una intenzione della gente di costruire un’alternativa ?
La costruzione dell’alleanza non è stata facile, oltre al Partito Umanista hanno partecipato il Mir, il Partito Comunista di Azione Proletaria e i gruppi sociali che dialogavano con loro. Un problema non facile da superare è stato quello riguardante il problema della nonviolenza. Il Partito Umanista sostiene questo principio ed ha molto apprezzato che sia stato accettato da quei gruppi che hanno dovuto fare dei passi molto difficili per accettarlo. Con il dialogo ognuno ha ceduto su alcuni punti che ritenevano fondamentali, questo ha creato uno spirito di fiducia reciproca che ha portato alla costruzione dell’alleanza che ha avuto inizio il 13 dicembre 2003. Juntos Podemos Mas è nato prima come progetto politico-sociale piuttosto che progetto elettorale, questo è un fatto molto importante e nuovo per l’America Latina. Dopo un anno ha partecipato alle elezioni amministrative con candidati che rappresentavano tutte le organizzazioni che facevano parte di Juntos Podemos con il risultato che tutti hanno incrementato i loro eletti. La popolazione di sinistra ha premiato il lavoro unitario. Si è compreso che nessuno da solo può costruire il Cile che vorrebbe.
Ad una domanda sul coinvolgimento dei giovani in politica, Hirsch ha detto che non si tratta di convincer i giovani, che sono dotati di un ottimo fiuto. I giovani hanno voltato le spalle ai politici, semplicemente perché i politici hanno voltato le spalle ai giovani. Piuttosto quello che stupisce è che ci sono ancora giovani che li credono. Non c’è da cambiare i giovani, c’è da cambiare i politici. La salute e l’educazione sono due diritti umani fondamentali che oggi in Cile, e in quasi tutti i Paesi, non sono garantiti. Serve un profondo cambiamento nell’educazione, non solo garantire a tutti l’accesso allo studio, ma bisogna anche rispondere alla domanda del perché si educano i giovani. Oggi si educano perché rispondano alle necessità delle imprese, perché siano forza lavoro, non perché abbiano un progetto di vita o perché aiutino a migliorare il Paese, ma solo perché si adattino in silenzio alla situazione esistente.
Il sistema elettorale in Cile è fatto in modo che i giovani non votino, più dell’80% non è iscritto alle liste elettorali. L’iscrizione alle liste è volontaria, chi vuole si iscrive però se dopo non vota deve pagare una multa! Ecco perché i giovani non si iscrivono. Juntos Podemos vuole il contrario: l’iscrizione automatica e il voto volontario!
Hirsch si dice convinto che il cambiamento è possibile, c’è tanta gente che lo vuole. Se ognuno porta il suo contributo, questo cambiamento è possibile.
Io sono convinto che se la sinistra italiana avesse una maggiore attenzione a quanto succede in Latino America piuttosto che continuare nel suo strabismo ego ed eurocentrico, potrebbe dare motivo ai molti delusi della politica per un ritorno all’impegno per contrastare la deriva qualunquista e razzista che sta dominando nel nostro Paese e in Europa. In questo contesto il ruolo dell’informazione è determinante. Con l’assetto attuale dell’informazione radiotelevisiva e della carta stampata, la deriva è praticamente irreversibile. E’ necessario che si ponga immediatamente mano ad una riforma del settore, ma sulle intenzioni del nuovo governo, anche se l’ho votato, ho seri dubbi….
Ps. Per frenare la deriva in corso domenica e lunedì è necessario votare e far votare no al referendum!

19.6.06

Real Savoia


Arrestato Vittorio Emanuele di Savoia. Sfruttamento della prostituzione e associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al falso, queste le contestazioni dei giudici. Quello che secondo alcuni dovrebbe essere il nostro re è finito in un’inchiesta della procura di Potenza che stava indagando sulle famiglie malavitose potentine. Dopo essere riuscito a sfuggire alla galera per aver ammazzato a fucilate un turista tedesco che disturbava il suo relax, ora il nostro mancato sovrano si trova rinchiuso in carcere. Abituato a dormire nelle sue regge, questa notte è caduto dal letto a castello e si è fatto male. Se la faccenda non fosse seria ci sarebbe da ridere….
Il Principe Filiberto, coinvolto nell’inchiesta, e la famiglia stanno cercando una villa nei dintorni di Potenza per stare vicino al loro congiunto e nel medesimo tempo garantirsi la privacy. Questo sicuramente creerà un precedente. Le ville vicino alle carceri andranno a ruba, famiglie di ladruncoli, spacciatori, spinellari, prostitute, immigrati illegali, ecc. se le contenderanno a suon di miliardi….
Dalle intercettazioni telefoniche risulta coinvolto anche Salvatore Sottile, il portavoce di Gianfranco Fini. Ma la posizione di Sottile non sarà solo quella di indagato per concussione sessuale, così come contestato dalla magistratura di Potenza, la procura di Roma, infatti, potrebbe ascoltarlo come testimone indagato in un procedimento connesso nell'ambito delle indagini sul Laziogate che vede indagati anche l'ex presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, il suo ex portavoce Nicolò Accame e Fabio Sabbatani Schiuma, consigliere comunale di An. Secondo le ultime notizie anche la moglie di Fini sembra coinvolta in queste edificanti vicende. Come si vede la collaborazione tra fascisti e Casa Savoia continua tutt’ora….
Intanto nel mondo politico c’è sdegno per la pubblicazione delle intercettazioni relative alle indagini. Forse qualcuno teme qualcosa…. E forse Bruno Vespa, che lo accolse con tutti gli onori nel suo salotto, si trova in leggero imbarazzo….
A me questa storia fa tornare alla mente Gaetano Bresci, l’anarchico emigrato negli Stati Uniti e rientrato in Italia con l'intento di uccidere Umberto I per vendicare la strage avvenuta a Milano nel 1898 quando l'esercitò sparò su una folla di manifestanti causando la morte di oltre un centinaio di manifestanti. Bresci fu processato per regicidio e condannato ai lavori forzati. Per poterlo controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per tre, priva di suppellettili, nel penitenziario di Santo Stefano presso Ventotene nelle Isole Ponziane. Secondo il racconto delle guardie carcerarie il 22 maggio 1901 si impiccò con un fazzoletto o con un asciugamani. Sulle circostanze della sua morte ci sono molte perplessità. Anche sul luogo della sua sepoltura ci sono discordanze: secondo alcune fonti fu seppellito nel cimitero di S.Stefano, secondo altre, il suo corpo venne gettato in mare. Molti sono i misteri che circondano ancora la figura di Gaetano Bresci, riguardano prevalentemente dei documenti spariti misteriosamente. Infatti non è mai stata trovata la pagina che descriveva il suo status di ergastolano e le circostanze della sua morte, nessuna informazione su di lui è disponibile all'Archivio di Stato di Roma, non fu mai ritrovato il dossier che Giovanni Giolitti scrisse sulla vicenda Bresci.
Non ci vuole molta fantasia per capire come sia andata veramente. E io scommetto che Vittorio Emanuele non verrà suicidato….

15.6.06

Homenaje al Che


Ieri ho pubblicato il post su Alberto Granado perché ricorreva il 38° anniversario della nascita del “Che”. La televisione cubana ha trasmesso la cerimonia di commemorazione ma a causa del fuso orario non mi è stato possibile pubblicare questo post dedicato all'avvenimento. Lo faccio ora dopo aver visto la registrazione dell’emozionante evento, celebrato per la prima volta in Bolivia, dove 39 anni fa il Guerrillero Heroico venne assassinato. Questo è potuto avvenire grazie alla vittoria di Evo Morales e del Movimento al Socialismo nelle recenti elezioni presidenziali. I Governi precedenti hanno sempre negato la possibilità di celebrare l’evento.
L’omaggio al “Che” ha avuto luogo a La Higuera, il villaggio dove il Comandante venne catturato e giustiziato dalla polizia locale agli ordini della CIA. L’impatto emotivo è stato molto forte, presenti Evo Morales, gli Ambasciatori di Cuba e Venezuela, il figlio del Che, Camilo e i compagni di lotta di colui che da tanti viene considerato come l’uomo simbolo del secolo scorso. Evo Morales ha definito Ernesto Guevara “leader immortale e instancabile nella lotta contro l’imperialismo e per la libertà e dignità dei popoli latinoamericani, che ha dato la vita per la nostra libertà e per l’uguaglianza e la giustizia”. “Quelli che oggi lottano nella nostra America per l’uguaglianza, la giustizia, la solidarietà e per una vita in armonia con la natura, non hanno altro cammino da seguire che l’esempio di Che Guevara” ha proseguito Evo Morales. “Nessuno può fermare la cooperazione tra boliviani, venezuelani e cubani nell’ambito della salute e dell’educazione. Il nostro continente vive tempi di cambiamenti profondi, riscatto della dignità e delle sovranità nazionali.” Evo Morales nel suo intervento ha affermato che a differenza dell’imperialismo statunitense e di altri paesi potenti, gli aiuti provenienti da Cuba e dal Venezuela avvengono senza condizionamenti di nessun tipo, con spirito solidale, totale rispetto alle decisioni della Bolivia. Realtà che dovrebbero capire i professionisti boliviani della salute che hanno dimostrato perplessità allo sviluppo della collaborazione medica.
In chiusura del suo discorso il Presidente boliviano ha detto che senza le lotte e il sacrificio del “Che”, la Rivoluzione cubana capeggiata da Fidel Castro e la Rivoluzione bolivariana di Hugo Chàvez, la sua vittoria in Bolivia non sarebbe mai stata possibile.
L’Ambasciatore cubano Rafael Dausà ha detto che in meno di quattro mesi i componenti della Brigata Medica Cubana hanno potuto curare più di 600 000 pazienti, hanno aiutato a salvare più di 1 000 vite e hanno realizzato oltre 15 000 operazioni alla vista. Al tempo stesso si stanno donando moderne apparecchiature mediche destinate a 20 ospedali. Esempi di solidarietà sono pure le oltre 120 000 persone, uomini e donne, che stanno insegnando ad apprendere, leggere e scrivere.
Il Presidente boliviano ha poi inaugurato un centro medico nel luogo dove il “Che” fu assassinato, e l’ampliamento di un Centro Diagnostico dell’ospedale di Vallegrande, un paese nel centro della Bolivia dove nel 1967 venne esposto il cadavere di Ernesto Guevara.
Tutti gli interventi, molto lucidi e commoventi, hanno sottolineato come in quel continente gli eventi degli ultimi anni stiano allargando il consenso verso quei leader che non nascondono le loro idee rivoluzionarie e che indicano nella vita e nell’opera di Ernesto Guevara la strada da seguire per la liberazione, non di un solo popolo, nemmeno di un solo continente, ma di tutto il pianeta.
La giornata si è conclusa con una torta ricoperta da 78 candele rosse. Tristezza per quel crimine che nessuno mai dimenticherà ma anche festa in omaggio al Comandante che sentono ancora vivo, convertito in milioni di patrioti disposti a lottare per la seconda e definitiva indipendenza della “Grande Patria què es Nuestra America.”
Ovviamente di tutto questo non si trova traccia sulla nostra "stampa democratica". In cambio ci faranno conoscere l'ultimo pensiero del CT Lippi e di Valeria Marini....

14.6.06

Incontro con la Storia


Tra le mie amicizie posso vantare quella con Alberto Granado, il compagno di viaggi del "Che" meravigliosamente descritto dal film di Walter Selles "I diari della motocicletta". Invitando a leggere i libri di Granado, pubblico una pagina del mio diario habanero dove racconto una mia visita a casa sua.

La Habana, 27-12-2005
Questa sera, dopo quindici giorni dall’arrivo all’Avana, finalmente io e Lellany siamo andati a fare visita ad Alberto Granado e a sua moglie Delia. Quando, il settembre scorso, li avevamo salutati a Ponte in Valtellina alla fine del loro soggiorno durante il loro tour italiano organizzato dall’Associazione di Amicizia Italia-Cuba, ci si era accordati che al nostro arrivo all’Avana li avremmo contattati per poterci incontrare. Prima di partire per Cuba sono stato contattato dal responsabile del Circolo umbro Primo Maggio perché intervistassi, per loro conto, Alberto Granado in quanto vogliono inserire questa intervista in un loro libro che uscirà il prossimo anno. Gli impegni conseguenti ai lavori di ristrutturazione della casa ci hanno impedito di trovare il tempo per contattare Granado ma oggi abbiamo deciso di non più rinviare e Lellany ha telefonato per accordarsi sul giorno e l’ora dell’incontro. Delia è stata felicissima di sentirci e ha preteso che ci vedessimo questa sera stessa verso le 18,30 o le 19. Granado e Delia vivono vicino a casa nostra, con figli e nipoti, in una bella villa in Calle 7 e/ 66 y 70 # 6607 a Miramar nel Municipio Playa, la zona residenziale che dalla collinetta scende verso il mare. L’espansione urbanistica dell’Avana si è sviluppata dall’Habana Vieja verso occidente, prima con il Vedado poi con il Nuevo Vedado e verso la metà del secolo con Miramar per poi proseguire con le modernissime Flores e Siboney fino ad arrivare alla Marina Heminguey, il bel porto da dove il famoso scrittore, che scelse l’Avana come residenza, prendeva il largo per le sue avventure a pesca del Marlin. Arriviamo con un poco di ritardo causato dai lavori in corso a casa nostra. Ci accoglie la figlia che ci fa accomodare nell’ampio atrio. Dopo pochi minuti Delia ci viene in contro e ci abbraccia fraternamente poi ci accompagna nello studio di Alberto e si intrattiene con noi in attesa che Granado finisca la cena. Si informa sulle condizioni climatiche che abbiamo lasciato in Italia e ci dice che ama molto il nostro Paese, che le piace andarci ogni volta che ne ha l’occasione ma che non ci vivrebbe a causa del freddo e lungo inverno che le impedirebbe di fare la vita all’aperto alla quale è abituata. Poco dopo arriva Granado che ci saluta con il suo solito immancabile sorriso. E’ felice di vederci e mi invita a brindare all’incontro con un “tragito de ron” mentre Delia e Lellany gustano un infuso di “tila con miel“. Alberto mi racconta della qualità del ron che stiamo gustando che un tempo veniva prodotto nella parte orientale dell’isola per esclusivo consumo degli abitanti del luogo poi, date le sue pregevoli qualità, arrivò fino all’Avana ed ora viene esportato in tutto il mondo. La conversazione diventa sempre più interessante, Granado parla del suo recente viaggio in Italia e dice che quello che più lo ha colpito è che, contrariamente alle altre volte dove ai suoi incontri partecipavano solo persone di una certa età, questa volta ha incontrato tantissimi giovani pieni di entusiasmo e di interesse, non solo per la sua famosa amicizia con Ernesto Guevara ma anche per i grandi cambiamenti in corso in America Latina. Poi racconta delle due giornate in Valtellina, degli amici che ha conosciuto e di come l’incontro pubblico a Piateda sia riuscito bene malgrado il malessere che lo fastidiava. Ci raccomanda di portare a tutti il saluto suo e di Delia e che prima del nostro rientro preparerà una lettera da consegnare ad Egidio e famiglia che li hanno ospitati in casa loro. Ci parla della sua prima visita in Italia nel 1955 e intervallandosi con Delia e Lellany che toccano temi più sensibili alle donne, continua parlando di se, della sua grande amicizia con il “Che”, di Fidel e dei suoi compagni e di quanto la Revoluciòn continui a portare avanti gli ideali di giustizia e uguaglianza fra gli uomini malgrado le grosse difficoltà che la situazione internazionale ha via via creato. Il suo sorriso si illumina ancora di più quando io dico che malgrado i tempi bui di guerra e di morte che stiamo attraversando, non mancano spiragli di luce e che questi si avvertono soprattutto in America Latina dove gli eventi sembrano andare nella giusta direzione per la moltitudine di persone che ancora soffrono delle disuguaglianze sociali e delle ingiustizie. “Alla fine le cose giuste stanno avendo ragione” è il suo commento accompagnato da uno sguardo orgoglioso che sembra dirmi: “io non ho mai avuto dubbi”. Ci racconta che Hugo Chavez sta vendendo petrolio a basso prezzo per i poveri del Bronx che, nel Paese più ricco del mondo, si trovano a dover affrontare un rigido inverno senza che nessuno si occupi di loro. “E’ con i fatti che si cambiano le cose” dice. La conversazione è sempre molto piacevole e interessante e quando ci accorgiamo che si è fatto tardi decidiamo che le risposte per l’intervista per il Circolo Primo Maggio me la preparerà a mano rispondendo alle domande che ho portato con me così come l’autografo sul Cd Diario della bicicletta, e su una copia de: “Con el Che por Sudamerica” che Granado aveva scritto molti anni fa su quella bellissima esperienza che lo aveva profondamente segnato e legato ad Ernesto “Che” Guevara. “L’ho scritto anche perché non volevo che il Che venisse mitizzato come un dio ma perché venga ricordato come un uomo. Un grande uomo”.
Prima di salutarci Lellany ci scatta una foto ricordo davanti ad un dipinto che ritrae il Che e ci lasciamo con l’accordo di sentirci per telefono per concordare una cena prima del nostro rientro in Italia. Uscendo dalla casa ho provato la sensazione di avere passato un momento con la storia.

11.6.06

Nessuno tocchi Caino


Con i Radicali ho sempre avuto un rapporto molto controverso, condividento alcune loro iniziative e contrastandone altre. Nemmeno l'Associazione Nessuno Tocchi Caino mi ha sempre convinto fino in fondo, essendo un convinto sostenitore dell'abrogazione della pena di morte e anche dell'ergastolo, ritengo il loro operato molto meritevole ma a volte non condivido alcuni giudizi superficiali riguardo alcune situazioni che meriterebbero un maggiore approfondimento.

Nessuno tocchi Caino mi manda questa mail di cui condivido i contenuti e lo pubblico molto volentieri.

Sergio d'Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, è oggetto di una campagna di diffamazione e di aggressione politica da parte di alcuni esponenti del centro destra, di alcune associazioni di familiari delle vittime e del sindacato di polizia SAP per la sua elezione a deputato del Rosa nel Pugno e per la sua elezione ad uno dei 16 Segretari di Presidenza della Camera. Questa elezione è avvenuta il 22 maggio con votazione dell'Assemblea a scrutinio segreto.
La polemica è stata lanciata da Carlo Giovanardi dieci giorni dopo in coincidenza con la concessione della grazia ad Ovidio Bompressi e con l'annuncio del Ministro della Giustizia Clemente Mastella di voler concedere entro l'anno la grazia ad Adriano Sofri e ad avviare l'iter parlamentare per l'approvazione di un provvedimento di amnistia ed indulto.
Riteniamo importante che anche voi conosciate la storia e l'identità del segretario di Nessuno tocchi Caino e per questo vi inviamo la lettera che ha deciso di scrivere al Presidente della Camera e ai suoi colleghi deputati.

LETTERA DI SERGIO D'ELIA AL PRESIDENTE E AI COLLEGHI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

Signor Presidente della Camera, colleghe e colleghi deputati,
a seguito delle dichiarazioni rese il 1° giugno 2006 dall'onorevole Giovanardi su di me e sulla mia storia personale e politica, desidero offrire questo mio contributo di conoscenza, che ritengo utile anche al fine di un più generale dibattito sulla giustizia, la civiltà del diritto e il senso della pena nel nostro ordinamento.
Sono stato uno di Prima Linea, trenta anni fa. Accetto che si dica ancora oggi di me: un "terrorista di Prima Linea", mi rifiuto però di credere che qualcuno pensi davvero che sia il termine giusto, vero o esatto per dire, non solo quello che sono io oggi, ma anche quello che sono stato ieri. La mia identità politica e la mia lotta degli anni Settanta possono forse essere approssimate alle idee "libertarie" (il che non vuol dire: nonviolente) di un anarchico dell'Ottocento, non certo assimilate al terrorista suicida e omicida degli anni Duemila.
Insieme ai miei compagni, ero cresciuto con l'idea che fosse possibile cambiare il mondo, tutto e subito. Subivamo l'effetto di una sorte di frenesia: dopo i volantinaggi alle 6 di mattina davanti alle fabbriche, le proteste organizzate nella mensa degli studenti, i comitati di lotta nei quartieri popolari, pensavamo che fosse a portata di mano la realizzazione del paradiso in terra. Ritenemmo la lotta armata come mezzo necessario per accelerarne l'avvento o, comunque, verificarne la probabilità. Una sorta di "demone della verifica" ci ha spinto all'azione estrema e irreparabile.
Il fine che giustifica i mezzi a cui molti aderivano culturalmente e filosoficamente, per noi è stata linea di condotta coerente e pratica. Che fosse vero il contrario, cioè che i mezzi prefigurano i fini, per me c'è voluta l'esperienza della lotta armata e del carcere e poi, quand'ero ormai pronto, l'incontro con Marco Pannella. Voglio dire che Marco Pannella c'era già, e da una vita, su quella semplice verità; lui era pronto, non ero pronto io e come me, quelli che lui chiamava i "compagni assassini", che lo avrebbero ri-conosciuto dieci anni dopo.
In quegli anni, i radicali erano gli unici a non considerarci dei mostri e quando Marco Pannella diceva "violenti e nonviolenti sono fratelli" capivamo il senso di quelle parole: violenti e nonviolenti avevano in comune la voglia di cambiare l'esistente, senza cedere all'indifferenza e alla rassegnazione. Noi, violenti, con la forza dell'odio; loro, nonviolenti, con la forza del dialogo e dell'amore.
Nel momento della rinuncia alla violenza come forma di lotta politica era quindi naturale - volendo mantenere il nostro impegno politico e sociale dalla parte dei più deboli e indifesi - che incontrassimo e ri-conoscessimo il partito del diritto e della nonviolenza.
I due anni di lotta armata mi avevano ampiamente dimostrato che la nostra lotta era vana rispetto agli obiettivi che ci eravamo dati e che le ragioni e le speranze di quella lotta erano andate distrutte dai mezzi usati per affermarle. Avevo accettato interiormente la verità della sconfitta, ancor prima della sua evidenza storica e politica. E quindi aspettavo il momento dell'arresto come un epilogo necessario. Giunse in una bella giornata di maggio del '78, e fu una liberazione.
Personalmente non ho mai sparato a nessuno, anche se è stato solo un caso. Sarebbe potuto accadere a me, esattamente, come è successo a molti miei compagni, con cui ho condiviso tutto, di uccidere e/o essere uccisi. In quegli anni, solo una serie di - posso dire col senno di poi - fortunate circostanze mi hanno impedito di diventare un assassino.
Sono stato condannato in base a uno dei postulati della dottrina emergenzialista dell'epoca, per cui il responsabile di un'organizzazione terroristica andava considerato responsabile dei crimini commessi nel territorio in cui operava. Agli occhi dei giudici non valeva il principio costituzionale della responsabilità penale personale ma quello ben più politico del concorso morale. E' agli atti del processo che ero lontano da Firenze al momento del fatto, che non ero stato tra gli ideatori e gli esecutori materiali della tentata evasione dal carcere delle Murate. Ciò nonostante, ero da considerare a tutti gli effetti responsabile dell'omicidio; per l'esattezza, di essere stato a conoscenza del piano di evasione e di non aver fatto nulla per impedirla, l'evasione evidentemente, non l'omicidio, che non era certo l'obiettivo di quell'azione, ma l'esito tragico di un fatto imprevisto. Una logica perversa che in futuro non sarebbe più stata applicata.
Peraltro, durante il dibattimento in aula, avevo sorpreso i miei stessi giudici rivendicando la giustezza del principio del concorso morale come il metodo più adeguato a descrivere le mie responsabilità di dirigente di Prima Linea, le cui azioni mi sono assunto in toto, che le avessi decise o meno, eseguite o meno, sapute o meno. Senza alcun spirito di autodifesa, intendevo evidenziare la contraddizione nella quale poteva cadere - e secondo molti cadde - un tribunale che applicasse in chiave giuridica il principio della responsabilità morale, per non dire chiaramente politica.
Sono stato condannato in primo grado a trenta anni di carcere, poi ridotti in appello a venticinque, infine dimezzati con l'applicazione della legge sulla dissociazione dal terrorismo e altri benefici di legge. Sono uscito dopo aver scontato dodici anni di carcere e, nel 2000, sono stato completamente riabilitato con sentenza del Tribunale di Roma, riabilitazione richiesta dallo stesso procuratore generale e sostenuta anche da decine di lettere di vittime dei miei reati, tra cui quella che mi ha fatto più piacere del capo della Digos di Firenze.
Avevamo sciolto Prima Linea nei primi anni Ottanta e, nell'86, insieme a moltissimi miei compagni di detenzione, mi ero iscritto al Partito radicale e, dopo poche settimane, il giudice di sorveglianza mi aveva concesso il permesso di uscire dal carcere per recarmi al congresso del partito, dove mi accolsero tra gli altri Enzo Tortora e Mimmo Modugno, parlamentari e presidenti del partito stesso. Era gennaio del 1987 e, davanti ai congressisti riuniti all'Ergife, consegnai simbolicamente Prima Linea, me stesso e la mia storia violenta, al partito della nonviolenza. Non si trattò di un bagno purificatore, di una catarsi nella folla del popolo radicale. Fu un vero e proprio evento politico: l'approdo definitivo alla democrazia e alle sue regole di chi la democrazia e le sue regole le aveva così tragicamente violate. Difficilmente un altro partito avrebbe avuto il coraggio di compiere un fatto al tempo stesso così concreto e simbolico.
Nel 1993, con la mia compagna Mariateresa Di Lascia, già deputata radicale e poi autrice del romanzo "Passaggio in ombra", Premio Strega postumo del '95, fondammo Nessuno tocchi Caino, l'associazione radicale che in questi anni ha contribuito a 42 tra abolizioni e moratorie della pena di morte che hanno salvato la vita a migliaia di condannati in varie parti del mondo.
Ora, sono stato eletto deputato della Rosa nel Pugno al Parlamento italiano assumendo un ruolo anche di responsabilità: credo che sia questo un altro fatto politico che può essere letto, non come la vergogna che denuncia il collega Giovanardi, ma - forse, anche - come la parabola felice di una storia, che è storia di cittadinanza democratica e di accoglienza umana e civile di cui, non solo Marco Pannella, ma anche lo Stato italiano può andare fiero... se ha senso l'articolo 27 della nostra Costituzione, se hanno senso le parole lì scritte sulla rieducazione e il reinserimento sociale del condannato.
Se qualcuno, ancora oggi, dopo trenta anni, vuole cristallizzare la mia vita nell'atto criminale di allora (che non ho materialmente commesso) e non tener conto della semplice verità che l'uomo della pena può divenire un uomo diverso da quello del delitto, rischia di non cogliere il senso profondo della giustizia, del carcere e della pena descritto dalla nostra Costituzione.
In uno Stato di diritto, è bene che il luogo del giudizio sia innanzitutto quello dei tribunali e che il tempo della pena sia stabilito secondo legge e Costituzione.
Ho pagato con 12 anni di carcere il conto che lo Stato e la legge italiana mi hanno presentato per ciò che ho fatto o non fatto. Non sono il solo a ritenere di aver compiutamente e consapevolmente pagato - in quel periodo per più versi "emergenziale" - anche l'altrimenti non necessario, il "sovrapprezzo" dovuto a leggi, tribunali, procedure e regole, opzioni politiche che si imposero come necessarie, carceri e detenzione speciali. Da libero, mi è accaduto anche di scontare la pena extra-giudiziale e per me pesantissima che il tribunale della vita, il destino, mi ha voluto riservare con la morte di Mariateresa, uccisa a quaranta anni da un male improvviso e incurabile, sicché ho dovuto far fronte al mio impegno morale, civile e umano inizialmente più solo e poi, grazie a tanti anche di voi, colleghe e colleghi, a portarlo avanti fino al punto in cui siamo di una decisione - ormai prossima, credo - della Assemblea Generale delle Nazioni Unite a favore di una moratoria universale delle esecuzioni capitali .
Ora, sono disposto ad accettare anche il giudizio inappellabile di quel severissimo tribunale della storia che è l'opinione pubblica. Quel che non accetto è di rimanere ostaggio perpetuo della memoria, del mio passato e di ciò che ho fatto trenta anni fa.

Signor Presidente della Camera, colleghe e colleghi deputati,
grazie per la attenzione e - ne sono certo - le riflessioni che vorrete dedicare a queste mie considerazioni.

Sergio D'Elia, Deputato della Rosa nel Pugno

10.6.06

Inarrestabile avanzata della democrazia: uccisi Al Zarqawi e 14 palestinesi


Il “lavoro” che gli Usa stanno portando avanti in Iraq ha segnato un notevole passo avanti con l’uccisione del terrorista Abu Mussab al Zarqawi e 7 suoi compagni. Aerei americani hanno bombardato il palazzo dove il pericoloso terrorista e i suoi collaboratori stavano architettando nuove operazioni criminali contro i soldati americani e i loro alleati che ormai da più di tre anni si stanno sacrificando per portare democrazia, pace, benessere e un futuro radioso al popolo iracheno. Il bombardamento è stato un vero e proprio intervento chirurgico, le bombe intelligenti hanno centrato l’obbiettivo con precisione millimetrica ed oltre ad Al Zarqawi ed i suoi compagni sono morti solo pochi civili innocenti e qualche bambino. Danni collaterali inevitabili. Poi un poco di responsabilità ce l’anno puro loro: vivere in un edificio dove si incontrano i terroristi…. E mica possiamo pretendere che i soldati americani, una volta individuato il luogo dove si trovano dei terroristi, cerchino di stanarli armi in pugno con il rischio che qualcuno possa sfuggire alla cattura! Molto meglio bombardare l’edificio con la certezza di eliminarli tutti, se ci sono andati di mezzo alcuni innocenti, pazienza…. gli iracheni mica possono pretendere di essere liberati senza qualche inconveniente!!! Il Comandante Bush si è congratulato con i suoi soldati e con la polizia irachena che hanno agito su indicazione dei servizi segreti e ha chiosato: “Giustizia è fatta”.
Dopo l’entusiasmo per l’avvenimento sarebbero opportune alcuni riflessioni. Per esempio chiederci quali saranno le reazioni delle migliaia di militanti di Al Qaeda e di quella parte del mondo arabo che li sostengono. Forse per milioni di arabi Al Zarqawi più che un terrorista viene visto come un eroe che lottava per la resistenza contro l’occupazione dell’Iraq. Perché probabilmente quegli stessi arabi sono convinti che gli Usa e i loro alleati più che portatori di democrazia e libertà siano degli occupanti e che anziché pace e lavoro stiano portato inferno e morte. Forse Al Zarqawi sarà immediatamente sostituito, il numero di sostenitori di Al Qaeda aumenterà, aumenteranno gli attentati e i disordini, moriranno altri “valorosi” marines e via di questo passo. Però il Comandante in Capo è felice. Non tutti gli umani diventano felici per gli stessi motivi….
Mentre qualche menagramo si sta ponendo questi interrogativi arriva un’altra notizia che migliorerà ulteriormente lo stato d’animo del Comandante Bush e dei suoi sostenitori. I soldati israeliani, altro baluardo per la difesa della democrazia, hanno avuto un’idea geniale: il venerdì è giorno di riposo per i lavoratori palestinesi e di questi tempi molti di loro vanno al mare, e sicuramente tra di loro si nasconderà qualche terrorista. Quale occasione migliore per eliminarne alcuni? Una nave si è avvicinata ad una spiaggia e l’ha bombardata. Sono morte 14 persone, in gran parte donne e bambini, numerosi altri feriti sono in pericolo di vita. L'esercito israeliano si è scusato per l'incidente dicendo di "rammaricarsi di aver colpito degli innocenti". Probabilmente non tutti i palestinesi accetteranno le scuse…. A questo punto cosa possiamo fare per portare la democrazia in Iraq e in Palestina? Forse già domani il Comandante Bush, sentiti Blair, Aznar e Berlusconi (questi ultimi due non sono più al governo ma sono sicuramente più affidabili di Zapatero e Prodi) ci spiegherà la nuova strategia. Andrà tutto bene, fidiamoci….

6.6.06

Sogni


L’amico Kalos, frequentatore di questo blog, mi invita a visitare il sito web del Corriere sul quale è presente un filmato che tratta il problema della diffusione del consumo di cocaina. Il filmato contiene un’intervista al prof. Silvio Garattini, Direttore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri di Milano. Il prof. Garattini racconta di una ricerca del suo Istituto secondo la quale ogni giorno nel fiume Po vengono scaricati 4 kg di cocaina. A questo risultato si è giunti misurando il metabolita contenuto nei liquidi affluenti nei depuratori del milanese. Rapportando il contenuto con la popolazione che gravita su ogni depuratore si è giunti alla conclusione che si consumano circa 30 dosi di cocaina al giorno per ogni mille soggetti giovani! Il risultato, sconvolgente, ha indotto il prof. Garattini e i suoi collaboratori a ripetere le ricerche in altri Paesi europei per confrontare i risultati con quelli italiani. Si è ripetuto l’esperimento a Londra e in Svizzera: risultati analoghi a quelli italiani! Se ne deduce che il fenomeno interessa tutti i Paesi sviluppati. La droga dei ricchi sta mietendo sempre più vittime!
Kalos, grande amante di Cuba, trova una correlazione tra il bisogno di sognare con la realtà (Cuba) e bisogno di sognare fuggendo la realtà (droga). Condivido.

Il Comandante Bush e gli eroici Marines


Sulle motivazioni per giustificare l’intervento armato in Iraq si sono scoperte cose che anche i più accaniti interventisti non hanno più argomenti validi per difendere tale scelta.
Ci dissero che Saddam Hussein era uno spietato dittatore che affamava il suo popolo. Approfondendo si copre invece che in Iraq la popolazione aveva istruzione, sanità, salari e standard di vita migliori degli altri Paesi dell’area.
Bush & C sostenevano che gli iracheni erano i responsabili degli attentati alle Twin Towers in combutta con Al Queida e Bin Laden. Chi ha un minimo di conoscenza in merito sa benissimo che questa è una menzogna. Ora si scopre che sugli attentati dell’11 settembre ci è stata detta tutt’altro che la verità….
Altra motivazione, il possesso di armi di distruzione di massa che Saddam Hussein aveva intenzione di utilizzare contro l’Occidente democratico. A qualcuno venne in mente che le armi di distruzione di massa gli Stati Uniti non solo le possedevano ma le avevano anche utilizzate ripetutamente: Hiroshima…. Nagasaki…. Vietnam…. Ex Jugoslavia…. E gli ispettori Onu dovettero ammettere di non aver trovato niente di tutto questo in Iraq. C’è chi pensò che ci fosse un equivoco: se gli ispettori Onu cercavano armi di distruzione di massa e non le hanno trovate in Iraq, perché non hanno cercato negli USA dove ne avrebbero trovate in grandi quantità? Ma l’Onu, si sa, non può fare quello che sarebbe giusto fare, l’Onu fa quello che gli USA dicono di fare!
Malgrado tutto questo il Comandante Bush decise di invadere l’Iraq con l’avvallo, non delle Nazioni Unite, ma degli amici Blair, Aznar e Berlusconi.
Si preparò una guerra lampo che in 72 ore, grazie alle bombe intelligenti, avrebbe permesso di catturare Saddam e portare la democrazia in Iraq. La guerra lampo durò un poco più di 72 ore, sono passati più di tre anni e ancora si è lontani dall’intravedere la fine del conflitto. Anziché accogliere i “liberatori” sventolando bandierine americane, gli iracheni hanno organizzato una resistenza che ha causato ingenti perdite agli invasori.
Malgrado sia evidente a tutte le persone dotate di un minimo di intelligenza e di obiettività che si tratta di una criminale aggressione ad un popolo da parte di una potenza straniera, si continua a parlare di intervento umanitario e di iracheni terroristi.
Le tragiche immagini di Abu Graib, le denunce sui detenuti di Guantanamo e di altri luoghi di tortura disseminati in vari parti del globo, la devastazione del paese, le decine (o centinaia?) di migliaia di civili ammazzati, il fosforo su Falluja e tutte le altre atrocità commesse dai “valorosi” Marines, non sono bastate a mobilitare i Capi di Stato dei Paesi cosiddetti democratici perché venga posta immediatamente fine a questa tragedia. Ancora dobbiamo sentir parlare di interventi umanitari e di esportazione di democrazia! Dobbiamo sperare che qualche giornalista coraggioso riesca a documentare le atrocità commesse dai “liberatori” per dimostrarci che tutto quello che scrivono i pennivendoli lautamente stipendiati dai loro padroni sono pure menzogne? E ci tocca vedere ogni giorno in tutte le televisioni i vari Gasparri, Taradash e compagnia bella difendere l’operato dell’establishment criminale che governa gli Stati Uniti!
Alcuni giorni fa il Washington Post ha raccontato la verità sui fatti di Haditha, dove il 19 novembre 2005 vennero uccisi per rappresaglia da parte delle truppe statunitensi, 24 persone tra uomini, donne e bambini. Secondo la versione dell'esercito Usa furono uccisi dall'esplosione di un ordigno piazzato lungo la strada, ora è dimostrato che la morte fu causata da proiettili sparati alla testa e al petto e non dai frammenti di una granata. Nel marzo scorso, la versione ufficiale venne smentita da un alto generale dei Marines in un'intervista al New York Times che riportava pure le testimonianze degli abitanti della cittadina i quali raccontano che i Marines aprirono il fuoco in due case e contro un taxi. Secondo il giornale i civili sarebbero stati uccisi per rappresaglia da un gruppo di marines in seguito alla morte di un loro commilitone colpito dalla deflagrazione di una bomba. Il quotidiano britannico The Times pubblica la testimonianza di Iman Hassan, una bimba irachena di 10 anni la cui famiglia è stata sterminata dai soldati Usa. Il terribile racconto, comincia alle sette del mattino, quando Iman si alza e si prepara per andare a scuola. Ad un tratto un'esplosione: un mezzo militare americano salta in aria colpito da una bomba ed il giovane di 20 anni che lo guida muore sul colpo. Mezz'ora dopo la famiglia di Iman non esiste più, sterminata dalla furia vendicativa dei soldati Usa. Ma le stragi continuano. Il 15 marzo ad Ishaqui, enclave sunnita a nord di Baghdad, le truppe a stelle e strisce volevano colpire un presunto membro di Al Qaeda e per questo hanno abbattuto un intero edificio. Effetto collaterale la morte di 11 persone di cui 4 donne e 5 bambini, uno dei quali di soli sei anni. Però le immagini, molto cruente, girate dalla polizia locale e inviate a Bbc e Rainews 24, trasmesse in questi giorni, smentiscono questa ricostruzione mostrando inequivocabilmente che le vittime sono state uccise a colpi di arma da fuoco. Dunque non si tratta di effetto collaterale, già di per se inaccettabile, ma addirittura lucida violenza omicida. Si stanno superando le atrocità naziste!
Possibile che nessun Capo di Stato, escluse quelle “canaglie” di Fidel Castro, Hugo Chàvez e ora anche Evo Morales, abbia l’onestà di dire che Bush è uno dei più grandi criminale della storia, responsabile di immani tragedie e sofferenze inflitte a persone innocue e indifese e che deve essere processato per i suoi crimini?
Mentre sto scrivendo arriva notizia di un attentato contro i soldati italiani in Iraq, un morto e quattro feriti di cui uno grave….

1.6.06

Onorevole quanto ci costi!


Ricevo questa mail che pubblico molto volentieri. Non amo il qualunquismo populista ma se penso ai salari dei lavoratori e alle loro pensioni.... mi girano pure....

MANDIAMOLI A LAVORARE
Sull'Espresso di qualche settimana fa c'era un articoletto che spiega che recentemente il Parlamento ha votato all'UNANIMITA' e senza astenuti (ma và?!) un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa € 1.135,00 al mese. Inoltre la mozione e stata camuffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali.
STIPENDIO Euro 19.150,00 AL MESE
STIPENDIO BASE circa Euro 9.980,00 al mese
PORTABORSE circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare)
RIMBORSO SPESE AFFITTO circa Euro 2.900,00 al mese
INDENNITA' DI CARICA (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00)
TUTTI ESENTASSE
+TELEFONO CELLULARE gratis TESSERA DEL CINEMA gratis
TESSERA TEATRO gratisTESSERA AUTOBUS - METROPOLITANA gratis
FRANCOBOLLI gratis VIAGGI AEREO NAZIONALI gratis
CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis PISCINE E PALESTRE gratis FS gratis
AEREO DI STATO gratisAMBASCIATE gratis CLINICHE gratis
ASSICURAZIONE INFORTUNI gratis ASSICURAZIONE MORTE gratis
AUTO BLU CON AUTISTA gratis
RISTORANTE gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00). Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (per ora!!!)
Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera. (Es: la sig.ra Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l'auto blu ed una scorta sempre al suo servizio)
La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO. La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO !!
Far circolare.......si sta promovendo un referendum per l' abolizione dei privilegi di tutti i parlamentari............ queste informazioni possono essere lette solo attraverso Internet in quanto quasi tutti i massmedia rifiutano di portarle a conoscenza degli italiani......
PER FAVORE CONTINUATE LA CATENA.