Fidel Castro: Concetto di Rivoluzione

Revolución
Es sentido del momento histórico;
es cambiar todo lo que debe ser cambiado;
es igualdad y libertad plenas;
es ser tratado y tratar a los demás como seres humanos;
es emanciparnos por nosotros mismos y con nuestros propios esfuerzos;
es desafiar poderosas fuerzas dominantes dentro y fuera del ámbito social y nacional;
es defender valores en los que se cree al precio de cualquier sacrificio;
es modestia, desinterés, altruismo, solidaridad y heroísmo;
es luchar con audacia, inteligencia y realismo;
es no mentir jamás ni violar principios éticos;
es convicción profunda de que no existe fuerza en el mundo capaz de aplastar la fuerza de la verdad y las ideas.
Revolución es unidad, es independencia, es luchar por nuestros sueños de justicia para Cuba y para el mundo, que es la base de nuestro patriotismo, nuestro socialismo y nuestro internacionalismo.

Fidel Castro Ruz (1ro de mayo del 2000)

4.12.06

Truffatori!!!!!


Caro Mohammed, è il Presidente del Consiglio che ti scrive...... Così iniziava la lettera che Silvio Berlusconi ha mandato a tutti i neonati per avvisarli che avevano diritto al bonus da 1 000 Euro che il nostro generoso ex capo del Governo elargiva con tanta enfasi. 30 000 famiglie di extracomunitari hanno così presentato domanda ed incassato il bonus. Pensando che nella democraticissima Italia governata da un uomo che tutti sapevano essere persona da sempre dedita al bene del popolo, non a caso è stato unto dal Signore, le promesse dei governanti vengono sempre mantenute. Mica si trovavano in un paese delle banane! Per giunta i 1 000 Euro arrivarano puntuali ad alleviare un poco i loro innumerevoli disagi di migranti con pochi diritti e tanti doveri.
Ma è quì, che si sono sbagliati! L'Italia è proprio un Paese delle banane! I malcapitati non sapevano che nei meandri del Decreto che stabiliva il bonus bebè, stava scritto che il diritto era riservato solo ai neonati italiani!
Ora devono restituire i 1 000 Euro ed affrontare un processo per truffa allo Stato, accusa gravissima che comporta la reclusione!!!!!! Per i 1 000 Euro il nuovo Governo sta rimediando con un Decreto in finanziaria. Per la truffa allo Stato non ci sono rimedi, dovranno affrontare il processo. A meno che non trovino un giudice che sappia fare bene il suo dovere e che decida che più che truffatori i malcapitati sono vittima di truffa. Una truffa architettata da chi di queste cose cose se ne intende....
A prosito di truffe, il Presidente Venezuelano è stato rieletto con un voto plebiscitario. Rosales, lo sconfitto "socialdemocratico" sostenuto dagli Usa ed anche dalla "sinistra" europea, ha subito sostenuto che le elezioni sono state viziate da brogli. Vorrebbe insinuare, malgrado tutti coloro che hanno seguito le elezioni sostengano che si sia votato con un sistema assolutamente trasparente ed all'avanguardia, che Chavèz è un truffatore. E non ha tutti i torti perchè l'amico di Fidel Castro ha elargito servizi sociali a tutti i poveri e diseredati venezuelani che in cambio lo hanno votato. Voto di scambio, chiaro no? Lui invece ha distribuito carte di credito che sarebbero state attivate in caso di sua vittoria.... A me ricorda qualcuno che distribuiva scarpe destre prima delle elezioni.....

30.11.06

Ma che mondo è questo?


Per Manifestolibri è uscito in questi giorni "Ma che mondo è questo? Interviste sulle emergenze di fine millennio" un libro curato da Robero De Romanis per il Circolo Culturale Primomaggio di Bastia Umbria, diretto dall'attivissimo Luigino Ciotti.
Celebrando i suoi primi quindici anni di attività, il circolo culturale Primomaggio ha raccolto attorno a un tavolo virtuale alcuni di quegli intellettuali, politici, giornalisti, uomini di Chiesa, dirigenti di organizzazioni umanitarie e di intervento sociale che hanno animato con la loro presenza e la loro passione civile le iniziative del circolo. Li ha chiamati a raccontare, ciascuno dalla propria prospettiva e con le proprie categorie di analisi, cosa è accaduto nel mondo in questo primo scorcio di millennio, e a portare nuova testimonianza di quelle voci di disagio e di sofferenza che non riescono ancora a farsi sentire da noi. Le testimonianze e le riflessioni disegnano così tutte assieme il quadro di un pianeta in piena emergenza, abitato da un’umanità con urgentissimo bisogno di pace e di giustizia sociale. Ma ognuno degli interventi vuole anche farsi portatore di una speranza di cambiamento, o di una fiduciosa profezia di salvezza che possono trovare origine in una concezione solidaristica del vivere sociale, ed essere affidate alla pratica di una nuova politica.
Le personalità intervistate sono: Vittorio Agnoletto, Fabio Alberti, Frei Betto, Mario Capanna, Giulietto Chiesa, don Luigi Ciotti, Haidi Gaggio Giuliani, Alberto Granado, Raniero La Valle, Flavio Lotti, Riccardo Petrella, padre Renato Kizito Sesana, Giuliana Sgrena, Giovanni Russo Spena, Jean Leonard Touadi, padre Alex Zanotelli.
A questa iniziativa ho dato il mio piccolo contributo per l'intervista all'amico Alberto Granado durante il mio ultimo soggiorno a Cuba. Visto il risultato di questo lavoro vado particolarmente orgoglioso di aver aiutato i carissimi amici di Bastia Umbra a portare a termine questa pregevole iniziativa.
Gli amici umbri stamo presentando il libro con varie iniziative per permettere un'ampia diffusione perchè con il ricavato intendono finanziare le loro prossime iniziative in Umbria.
Se qualcuno intende promuovere la vendita del libro è il benvenuto.

Per acquistarlo: Circolo Culturale Primomaggio - tel. 3460134774
Per acquistare on line http://www.manifestolibri.it/novita.php
Le iniziative del Circolo Primomaggio si trovano sul sito http://www.circoloprimomaggio.org/

24.11.06

Come La Repubblica informa sulla Colombia


Graze ad un'iniziativa di Annalisa Melandri ed insieme ad Antonio Pagliula, titolare del Blog Verosudamerica, abbiamo deciso di inviare questa lettera al quotidiano La Repubblica rilevando ancora una volta lo scarso interesse che il medesimo ha per quanto accade nella “democratica” Colombia di Álvaro Uribe.

Gentile Direttore Ezio Mauro, meno male che fu lo stesso Omero Ciai, in una discussione sul blog dello storico e studioso di America Latina, Gennaro Carotenuto, ad ammettere che La Repubblica si occupa pochissimo di Colombia: “negli ultimi anni ci siamo occupati di Colombia solo per il sequestro Betancourt” (avvenuto nel 2002). Così adesso, oltre ad aspettarci di leggere notizie provenienti dalla Colombia solo nel caso che la Betancourt venga liberata, (in quanto a dire di Ciai una guerra civile che va avanti da più di 50 anni non interessa a nessuno), non ci meravigliamo del fatto che l’arresto del corrispondente di TeleSUR in Colombia avvenuto il 12 novembre scorso per La Repubblica semplicemente non sia una notizia per cui valga la pena scrivere almeno poche righe. Il giovane Fredy Muñoz Altamiranda è stato accusato sulla base di semplici testimonianze senza nessun fondamento, di essere un terrorista, ribelle, appartenente alle FARC. L’arresto è stato condannato con forza da tutte le federazioni latinoamericane dei giornalisti nonché da Reporters sans Frontières che ne chiede l’immediata scarcerazione. Il fatto assume un aspetto ancora più inquietante in quanto si ipotizza un tentativo di colpire direttamente l’emittente televisiva TeleSUR e ciò che essa rappresenta nel nuovo panorama politico latinoamericano. Bastavano veramente poche righe. E proprio mentre oggi, 23 novembre, pubblicate l'editoriale in prima pagina di Timoty Garton Ash, il quale afferma che "i giornalisti si sono tradizionalmente attribuiti un ruolo di vigilanza nei confronti del potere, fosse esso politico, militare o economico" viene spontaneo chiedersi se per La Repubblica questo abbia sempre valore.
Annalisa Melandri
Antonio Pagliula
Elio Bonomi

17.11.06

Il libro nero degli Stati Uniti d'America

Con questo post dò inizio alla periodica presentazione di libri e pubblicazioni in tema con lo scopo di questo blog che è appunto quello di diffondere notizie che i nostri media, allineati agli interessi dei loro padroni, ignorano totalmente.

Tutti hanno letto o sentito parlare del propagandatissimo "Libro nero del comunismo" un testo con il quale si cerca di dimostrare che il comunismo è stato responsabile di orrendi crimini mentre il "libero occidente" è la culla delle libertà e della felicità sulla terra. La storia e la realtà sono purtroppo ben diverse. I crimini passati, e purtroppo tutt'ora in atto con sempre maggiore violenza, dell'imperialismo capitalista vengono taciuti o fatti passare per battaglie di civiltà contro il male che minaccia la nostra "democrazia".

Il primo testo che voglio proporre è questo libro scritto da Mauro Pasquinelli dal titolo: "Il libro nero degli Stati Uniti d'America" con sottotitolo: Storia criminale degli USA (genocidi, invasioni, torture e terrorismo di stato....)

Il libro è diviso in quattro parti.

La prima parte parla delle bombe e della propaganda, della guerra e della società dello spettacolo, della conta dei morti, del piano USA per il nuovo secolo e dell'inizio del declino della superpotenza imperiale.

La seconda parte racconta la storia dei genocidi a partire da quello dei nativi americani, delle invasioni di Paesi sovrani, delle torture e del terrorismo di stato praticato dagli stati Uniti.

La terza parte ci illumina sul ruolo della CIA nel traffico di droga, dell'arroganza USA nelle sedi internazionali, degli assassinii politici fino ad arrivare ai fatti del Ground Zero.

Infine un'appendice con saggi sull'argomento scritti da grandi personalità, tra gli altri Noam Chomsky, ed associazioni.

E' un libro che consiglio a tutti coloro che non credono alle montagne di bugie che quotidianamente ci vengono propinate. Un interessantissima raccolta di documenti che dimostra quale sia la realtà dei fatti e che ci permette di leggere gli avvenimenti che hanno determinato la terribile situazione che l'intera umanità sta vivendo in quest'epoca dominata dalla più grande (pre)potenza della storia. E qualcuno vuole convincerci che stiamo preparando un futuro di libertà e democrazia per il mondo intero....

Questo libro è stato pubblicato nel 2003, nel 2004 ha visto la luce un altra interessante pubblicazione di Mauro Pasquinelli "Torture made in Usa. Viaggio nel Gulag a stelle e strisce".

Mauro Pasquinelli ed il fratello Moreno hanno recentemente subito la perquisizione delle abitazioni e dei luoghi di lavoro in quanto attivisti del Comitato per la difesa del fiume Clitunno sorto dopo il grave episodio di inquinamento verificatosi il primo marzo scorso. Come si vede nel nostro Paese c'è la libertà di stampa! Sì, quella di scrivere le bugie utili ai padroni dell'Impero. Perchè se uno scrive la verità e si impegna per difendere un fiume vittima delle follie dustruttive di chi vuole arricchirsi senza troppi scrupoli, viene inqusito per diffamazione. Alla faccia della democrazia....

9.11.06

La vittoria di Daniel Ortega: gioia o tristezza?


Alla fine ce l’ha fatta. Daniel Ortega Saavedra, leader del Frente Sandinista de Liberacion Nacional, dopo tre tentativi falliti, ha vinto le elezioni in Nicaragua sconfiggendo il candidato liberale, fortemente sostenuto dagli USA, Eduardo Montealegre.
In breve la storia del nuovo Presidente del Nicaragua. Daniel Ortega fu uno dei dirigenti sandinisti che sconfissero la dittatura di Somoza nel luglio del 1979. Assieme allo
scrittore Sergio Ramirez Mercado, all'uomo d'affari Alfonso Robelo Callejas, Violeta Barrios de Chamorro e Moisses Hassan fu a capo della giunta che governò il paese centroamericano dopo il trionfo della rivoluzione. Il 4 novembre 1984 il Frente Sandinista vince le elezioni presidenziali con il 67% dei voti favorevoli. Gli Stati Uniti non accettano che in America Centrale ci possa essere un Paese di ispirazione marxista, per questo armano ed appoggiano i controrivoluzionari delle Contras che danno inizio ad una guerriglia tesa a minare le conquiste della rivoluzione sandinista impegnata nella ricostruzione sociale ed economica del paese. Per porre fine a questa situazione che tanti lutti stava portando alla popolazione, il 25 febbraio 1990 vennero indette nuove elezioni. Tutti pensavano ad una netta vittoria sandinista, visti i successi raggiunti nel campo sociale ed economico dal governo di Daniel Ortega. Invece vinse Violeta Barrios de Chamorro, la leader del partito di opposizione sostenuto da una poderosa campagna finanziata dagli USA. Ebbe così inizio un ventennio di dominio delle forze reazionarie appoggiate dagli Stati Uniti che hanno portato nuovamente le ricchezze in mano a pochi eletti ed agli interessi delle multinazionali, mentre il paese regrediva nuovamente ai livelli di povertà di prima della rivoluzione. Daniel Ortega fu sconfitto in tutte le elezioni presidenziali fino a quelle di domenica scorsa.
Che dire di questa vittoria? Sicuramente Daniel Ortega è ben lontano dagli ideali che l’hanno portato ad essere uno dei leader della battaglia contro la feroce dittatura di Somoza. Già durante il governo sandinista non mancarono le critiche contro il suo comportamento, spesso più teso a soddisfare suoi interessi personali che le necessità della popolazione. Il suo carisma di dirigente rivoluzionario si è lentamente appannato e non tutti i sandinisti si sono sentiti rappresentati dall’ex leader guerrigliero. Questa vittoria è anche frutto dell’alleanza di Daniel Ortega con alcuni nemici del sandinismo oltre al fatto che le destre si sono presentate divise all’appuntamento elettorale. Se si tiene conto di tutto questo e del fatto che sia stato eletto con meno del 40 % dei voti favorevoli, questa vittoria potrebbe sembrare più triste che esaltante. Il neo eletto Presidente ha affermato che il suo compito principale sarà quello di sradicare la povertà dal paese, Hugo Chàvez e Fidel Castro si sono affrettati a salutare la vittoria di Daniel Ortega come un altro tassello da aggiungere all’autodeterminazione dei popoli latinoamericani, mentre i dirigenti del FSLN hanno dedicato la vittoria agli 80 anni di Fidel ed alla resistenza del popolo cubano all’embargo politico ed economico dell’imperialismo yankee.

Io Daniel Ortega ho avuto modo di conoscerlo, anche se di sfuggita, durante un suo comizio tenuto a San Juan del Sur nel pieno della campagna elettorale che all’inizio degli anni ’90 lo ha visto opposto ad Arnoldo Alemàn. Un incontro successivo fissato a Managua tra un gruppo di rappresentati dell’associazione di Amicizia Italia-Nicaragua, di cui facevo parte, è andato disatteso a causa di sopraggiunti impegni da parte del leader sandinista. Sarebbe stata una buona occasione per cercare di capire quali fossero le intenzioni dei sandinisti in caso di vittoria. L’incontro con i dirigenti del FSLN mi aveva lasciato comunque poco convinto sulle reali possibilità di quel che era rimasto del movimento sandinista di saper gestire un reale cambiamento che potesse far uscire il Paese dalla tragica situazione economica dove le imposizioni liberiste lo avevano cacciato. Ho avuto la sensazione che si usassero più parole fumose e frasi fatte e che si cercasse di tirare a campare piuttosto che impegnarsi nell’elaborazione di una credibile strategia che potesse riportare a quel grande consenso popolare di cui mi è sembrato si siano perse le tracce. Sergio Ramirez, lo scrittore che fu vice-presidente del Governo rivoluzionario, sostiene che Daniel Ortega sia piuttosto un uomo di potere che uno statista. Non rimane che stare a vedere, ora tocca a lui dimostrare il contrario.

24.10.06

Gillo Pontecorvo, la battaglia di Algeri ed il mondo di oggi


Di Gillo Pontecorvo, il grande regista recentemente scomparso, non è che se ne sia parlato molto. Aldilà della retorica che sempre accompagna la morte di un personaggio famoso, non è stata colta l’occasione per dibattere sull’attualità della sua opera. Il suo film più conosciuto è sicuramente La battaglia di Algeri. Il film di Pontecorvo descrive in maniera quasi documentale una delle più sanguinose lotte anti-imperialiste del secolo scorso, la ribellione, dal 1954 al ’62, del popolo algerino contro il dominio coloniale francese. Durante il conflitto durato 8 anni le forze armate francesi e le loro milizie alleate uccisero un milione di algerini. A Parigi il governo socialista, il cui ministro dell’interno era François Mitterrand, emanò l’Atto di Poteri Speciali che dava alle forze armate carta bianca in Algeria. Assassini, torture e stupri erano all’ordine del giorno. Un generale francese si vantò così: “Ci venne data libertà di fare ciò che consideravamo necessario.” Decine di migliaia di uomini, donne e bambini innocenti vennero torturati, ad Algeri più di tremila persone sono scomparse dopo essere state arrestate dai francesi. Per attuare il programma di “pacificazione” i francesi espulsero due milioni di algerini dalle proprie case, molti li confinarono in campi di concentramento circondati da filo spinato, e distrussero più di ottomila villaggi. Quasi due milioni di soldati francesi furono impiegati nel conflitto, tra loro l’attuale presidente Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, il leader razzista del “Fronte Nazionale”. Le Pen fu accusato di essere stato uno dei torturatori di prigionieri nel 1957.
Rivedendo il film di Pontecorvo non ho potuto fare a meno di notare la perfetta similitudine tra quanto descritto dal regista quarant’anni fa e quanto sta avvenendo oggi. L’oppressione colonialista contemporanea sembra ripetere alla perfezione un copione ormai drammaticamente sperimentato nel secolo scorso. Gli assedi, le retate di massa e le torture mostrate nel film, prefigurano gli attacchi militari d’Israele sui palestinesi e i metodi usati dalle forze armate statunitensi in Irak e in Afganistan.
Quando il film uscì per la prima volta in Inghilterra e negli Stati Uniti, le scene che mostrano la tortura con la fiamma ossidrica, l’elettroshock, e l’affogamento parziale dei prigionieri furono censurate. Inoltre viene usata della musica assordante per soffocare le grida delle vittime, una tecnica impiegata dalla polizia militare e dai servizi segreti statunitensi ad Abu Ghraib e Guantanamo.
Ad agosto del 2003 il dipartimento di Operazioni Speciali e Conflitto a Bassa Intensità del Pentagono decise di mostrare La Battaglia di Algeri ai propri dipendenti. Ciò accadde dopo l’intensificarsi della di resistenza irachena contro le forze armate statunitensi e alla conseguente richiesta del Segretario della Difesa americano Donald Rumsfeld di “migliorare l’intelligence” attraverso interrogatori in Irak e altrove. David Ignatius, scrivendo per il Washington Post, fece l’assurda dichiarazione che era un “segnale di speranza che le forze armate pensano creativamente e anticonvenzionalmente sull’Irak.” Il vero scopo della proiezione del film era invece quello di incoraggiare attacchi militari e torture ancora piú sadiche ed illegali sui prigionieri.
Se chi ha il compito di informare non sa cogliere nell’opera di un artista le similitudini con gli eventi che oggi drammaticamente stanno terrorizzando il pianeta, non ci resta che renderci conto che stiamo vivendo in un regime dove la propaganda mediatica è diventata un’arma micidiale al servizio dell’imperialismo. Ci hanno sempre raccontato di come la dittatura fascista, il nazismo ed il comunismo sovietico abbiano utilizzato la propaganda per ottenere il consenso delle masse. Ma se abbiamo il coraggio di giudicare senza ipocrisie il comportamento degli attuali mezzi d’informazione, non possiamo che renderci conto che quelle propagande erano da dilettanti al confronto di quelle impiegate oggigiorno. Proviamo a pensare come la “cultura” americana abbia ormai contaminato ogni angolo del pianeta per raccontare al mondo della grande bontà del “paese più democratico del mondo” che si sacrifica per estendere la democrazia a quei paesi che si ostinano a negarla. Pensiamo alla diffusione di film, libri, musica e quant’altro, che hanno invaso il pianeta per raccontarci la loro favola. Questa “democrazia” non ha bisogno di usare i classici mezzi coercitivi per indurre chi opera nel campo dell’informazione e della diffusione dei prodotti culturali a “lavorare” per loro. Utilizzano i più grandi mezzi di persuasione che siano mai esistiti: il denaro ed il mercato. Se stai con loro avrai fama e soldi, se ti metti contro avrai fame e morte.
Dopo il propagandato “Libro nero del comunismo”, se ne avessi le capacità, il tempo ed i mezzi, scriverei il “Libro nero dell’Imperialismo”. Ci sarebbe molto da raccontare su come l’imperialismo USA sia intervenuto e stia intervenendo, e con quali mezzi, per imporre i propri interessi e la propria volontà a tutti i popoli del pianeta. Visto che per una sola persona sarebbe un’opera titanica, sarebbe il caso di scriverlo tutti insieme. Un’opera collettiva frutto del lavoro di quell’universo progressista formato da tante persone semplici, onesti lavoratori, artisti, giornalisti, scrittori e uomini di cultura. Anziché ognuno a coltivare il proprio orticello, tutti insieme a raccontare la pura verità, per un’opera che sia di monito a tutte le generazioni presenti e future. Perché l’impegno di tante persone che, come Gillo Pontecorvo, hanno speso la loro vita per la costruzione di un mondo migliore, non vada disperso, travolto dall’ondata di spazzatura che sta sommergendo il pianeta. Ovviamente Gianpaolo Pansa non sarà dei nostri….

19.10.06

Gennaro Carotenuto sull'offensiva delle destre in America Latina

Gennaro Carotenuto ha pubblicato questo articolo sul suo blog<www.gennarocarotenuto.it>. Penso che meriti molta attenzione e che sarebbe il caso di mobilitarsi prima di doverci ritrovare a discutere su avvenimenti che sconvolgono quando ormai non c'è più rimedio.

America Latina, arriva la mano pesante delle destre
di Gennaro Carotenuto
Desaparecidos, dossier falsi, servizi segreti in azione, brogli elettorali, la battaglia all’ONU, un colpo di stato imminente in Bolivia e la vita minacciata di militanti e dirigenti politici. Per la primavera latinoamericana arriva l'ora della prova contro la reazione.
La primavera latinoamericana a più d’uno era sembrata una festa. I movimenti sociali si facevano governo in maniera così facile da far dubitare del perché non fosse successo prima. Presidenti eletti per caso, come l'argentino Nestor Kirchner, si sono rivelati capaci di aggregare consenso e cancellare impunità. Movimenti radicali -figli di atavici sacrifici- come i senza terra brasiliani, fanno prudentemente politica. Perfino un colpo di stato organizzato con tutti i sacri crismi, quello dell'11 aprile 2002 a Caracas, è stato spazzato via dalla democrazia partecipativa della rivoluzione bolivariana. A Mar del Plata, a fine 2005, movimenti popolari e nuove classi dirigenti hanno gridato, insieme ai governi, un inaudito "no" all'ALCA e a George Bush. Argentina e Brasile hanno chiuso i loro conti con l’FMI: non vogliono più consigli interessati e l'integrazione regionale disegna un continente che mette finalmente al primo posto l'inclusione sociale.
Le destre di sempre hanno incassato colpi, via via più concreti, al privilegio e all'impunità. Ma il 2006, anno elettorale fondamentale, sta dando segnali di una sistematica reazione sotto forma di una nuova guerra sporca. Non può esserci ancora un nuovo Piano Condor, ma i segnali sono molteplici, diseguali, mutevoli eppure omogenei, e da non sottovalutare.
Il caso più grave è quello boliviano. I rumori di sciabole e le intromissioni straniere, da quelle degli “amici” di Petrobras a quelle nemiche di Tony Blair che, agente politico di British Petroleum, invita all’aperto boicottaggio della Bolivia, restringono i margini di manovra del presidente Morales. Non sono solo gli errori del governo –come quelli nella politica mineraria- a far temere il precipitare della situazione. Afferma a chi scrive Rafael Puente, per otto mesi vice ministro degli interni di Evo Morales: “la stessa vita del Presidente è nelle mani del nemico. La Bolivia di fatto non ha intelligence, ma sono attivi i servizi segreti di vari paesi, a cominciare da quelli cileni. Il presidente può essere ucciso da un francotiratore, dal tradimento di qualcuno a lui vicino, avvelenato. La sua vita è a rischio in ogni momento. Riceviamo continuamente rapporti dai servizi venezuelani e cubani in questo senso, ma loro non possono sostituirsi alle nostre carenze”. Il dramma della Bolivia è che uno stato fragile non può produrre un governo meno fragile dello stato stesso. “La nostra primavera potrebbe essere troppo breve” chiude, assorto nelle sue preoccupazioni, Rafael Puente.
Dalla Bolivia all’Argentina, la situazione è diversa. Ma da un mese si sta cercando il primo desaparecido di questa nuova epoca, il n. 30.001. È Jorge López, 77 anni, testimone chiave nel processo che ha condannato all’ergastolo “per genocidio”, Miguel Etchecolatz, simbolo vivente di sadismo, perversione, crudeltà nel torturare con particolare vigliaccheria donne incinte, nel bruciare vivi o buttare in mare uomini legati. Col sequestro López, decine di migliaia di persone, e tutti i testimoni delle centinaia di processi che si stanno celebrando in Argentina, hanno visto la loro vita riportata indietro di 30 anni, al guardarsi le spalle, al cambiare strada ogni volta per tornare a casa, al tornare a vivere nella paura. Quello López è un sequestro chiave perché non è una disperata vendetta di Etchecolatz e dei suoi, ma è una sfida diretta lanciata da uno stato parallelo, che continua ad esistere in democrazia, contro la politica dei diritti umani del presidente Kirchner. Più di 2.000 tra torturatori, familiari e loro supporter politico-economici, sono scesi in piazza a Buenos Aires pretendendo la fine dei processi. “Minacce fisiche, credibili e preoccupanti –ci dice il parlamentare e scrittore Miguel Bonasso- sono arrivate allo stesso presidente Kirchner. Questo dimostra che in Argentina esistono corpi dello stato mafiosi e fascisti ancora attivi e disposti a tutto”. Anche nell’Uruguay del titubante Tabaré Vázquez si registrano segnali analoghi.
In Brasile, Lula da Silva sarà per la seconda volta presidente. Vincerà il ballottaggio contro il candidato dell’Opus Dei e dell’ultradestra economica Geraldo Alckmin che, chissà perché, la stampa europea si ostina a definire socialdemocratico. Ma su quel 49.85% ottenuto da Lula, un capello dalla vittoria al primo turno, e con l’8% conquistato da candidati alla sua sinistra, ha pesato in maniera decisiva un dossier falso attribuito al PT, il partito del presidente. Con ogni evidenza è un’operazione attribuibile a servizi deviati, con la complicità del sistema mediatico, per danneggiare l’immagine di Lula stesso, paradossalmente consolidata e non indebolita da quattro anni di scandali, alcuni veri, molti artefatti. Le destre, che non hanno in questo momento il potere di rovesciare Lula, che è l’architrave di tutta la costruzione progressista latinoamericana, hanno tuttavia il potere di mostrarlo fragile e meno credibile. Non controllando più la macchina statale, e quindi essendo loro preclusi brogli massicci, riescono comunque ad obbligarlo ad un ballottaggio che non doveva avere luogo, attraverso l’uso spregiudicato di apparati dello stato che permangono al servizio dell’antico regime.
Ancor più solida della posizione di Lula è quella di Hugo Chávez. Vada come vada la battaglia per il seggio latinoamericano in Consiglio di Sicurezza alle Nazioni Unite, è chiaro come il sole che la candidatura del Guatemala, che non è uno stato di diritto e dove vivono nell’impunità più totale gli autori del genocidio costato la vita a oltre 200.000 persone, sia una limpidissima operazione neocoloniale: “Siamo noi –afferma con ciò l’Ambasciatore statunitense all’ONU, John Bolton- a decidere chi deve rappresentare l’America Latina in Consiglio di Sicurezza”. Come sempre. Che il Guatemala (leggasi Stati Uniti) sconfigga o no il Venezuela, le ragioni di un mondo multipolare emergono chiarissime e sono tutte dalla parte di Chávez. Fotografano lo spregio degli Stati Uniti per l’America Latina tutta, e la disposizione ad utilizzare ogni arma nella contesa più importante, quella del 3 di dicembre, le elezioni venezuelane, che riconfermeranno alla presidenza Hugo Chávez. “Secondo tutti i calcoli e i sondaggi indipendenti –ci rivela il Ministro della Cultura venezuelano, Francisco Sesto- il candidato dell’opposizione unita, Manuel Rosales, può al massimo aspirare alla metà dei voti sui quali conta Chávez”. Rosales può arrivare ad un terzo dei voti, forse qualche punto in più, ma ha già perso.
E a cosa serve un candidato perdente alle destre venezuelane e a quelle forze, Stati Uniti e Fondo Monetario Internazionale in testa, che con quelle destre ordirono il colpo di stato dell’11 aprile 2002? In America Latina può essere utile a molte cose. Fu utilissimo, per esempio, Luís Donaldo Colosio, il candidato perdente del PRI messicano, assassinato dai suoi a Tijuana nel 1994 e che lasciò il posto ad Ernesto Zedillo, che riuscì alla fine ad evitare l’arrivo alla Presidenza del candidato di sinistra, Cuauhtémoc Cárdenas. Più che un Rosales vivo e straperdente contro Chávez, segnalano da settimane molteplici fonti riservate, potrebbe essere un Rosales morto ammazzato –magari dopo sondaggi fittizi che gli diano speranze di vittoria- il cavallo ideale per debilitare Chávez e per lanciare una campagna mondiale che lo accomuni definitivamente ai paria del mondo e apra le porte a una balcanizzazione del Venezuela con l’aiuto colombiano.
Dal Messico del neofalangista Felipe Calderón (ben altra pasta rispetto al gerente della Coca-Cola Vicente Fox), arriva una lezione classica: il controllo degli apparati dello stato è chiave per evitare i brogli accertati delle destre, che hanno impedito ad Andrés Manuel López Obrador –e forse anche ad Ollanta Humala in Perú e Rafael Correa in Ecuador- di giungere alla Presidenza. Ma anche in Messico gli apparati sono un’entità cangiante. Carmen Lira, direttrice del quotidiano La Jornada, ci racconta il momento chiave di due mesi di protesta di milioni di messicani, scientificamente ignorati da una stampa internazionale che –in condizioni identiche ma opposte- tanto s’era commossa per gli arancioni di Kiev: “quando Vicente Fox ha dato ordine all’esercito di reprimere –e sarebbe stata un’altra Tlatelolco- è dimostrato che i vertici dell’esercito hanno chiesto al presidente di mettere per iscritto l’ordine. Quando questo si è negato, l’esercito, per la prima volta nella storia, si è rifiutato di obbedire”. Successe già in Venezuela nel golpe del 2002 che l’esercito si spaccasse e si schierasse con la Costituzione; molteplici segnali di lealtà giungono da altre forze armate nel continente, profondamente cambiate per appartenenza sociale dall’inverno neoliberale. Viene la reazione e sarà pesante. Ma forse la primavera latinoamericana ha già più fiori di quanto un inverno tardivo possa gelare.

18.10.06

La democrazia secondo La Repubblica


Gennaro Carotenuto è stato costretto a chiudere i commenti dei lettori sul suo blog <gennarocarotenuto.it> a causa di volgari attacchi alla sua persona da parte di alcuni frequentatotori del blog. Continua però a fare informazione consapevole pubblicando sul blog interessanti articoli, analizzando le tematiche della politica internazionale con competenza e lucidità, oltre ad una rara onestà intellettuale. Gennaro Carotenuto svolge attività di ricerca e didattica in Storia Contemporanea, Geopolitica e Storia dell'America Latina alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Macerata. Dal 2000 è professore invitato presso la Facoltà di Humanidades dell'Università della Repubblica (Montevideo, Uruguay). Ho pensato di riportare questo suo interessante articolo per dare la possibilità a chi volesse di commentarlo su questo blog.
La Repubblica, Guido Rampoldi e il lupo Hugo Chávez
Di Gennaro Carotenuto.
Oggi è possibile che il Venezuela rilevi il posto dell'Argentina nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In realtà è probabile che succeda solo nei prossimi giorni sconfiggendo la candidatura alternativa voluta dagli Stati Uniti del Guatemala. Ma il solo fatto che il Venezuela sia così audace da proporsi - in una normale rotazione- desta scandalo.
Per esempio Guido Rampoldi, in prima pagina su La Repubblica, scrive un editoriale che intitola "La sinistra latina che vorrebbe Chavez (scritto senza accento per tutto l'articolo, sic!) all'ONU". Riferendosi al voto dell'Italia, tutto l'articolo può essere sintetizzato in un motto: "ci converrebbe appoggiare Chávez, ma per favore non fatelo".
Oltre alla solita serie di insulti a Chávez non giustificati e non spiegati, il più neutro dei quali è "imbarazzante", Rampoldi, che sarei curioso di sapere se legge lo spagnolo, centra alcuni punti del dibattito. In particolare individua quello che sarebbe un dilemma del governo italiano che avrebbe interessi economici a votare per Chávez ma per "ideale" (ri-sic!) non dovrebbe votarlo. Per Rampoldi da una parte c'è la sinistra radicale che spinge a votare Venezuela, dall'altra la Margherita che vuole il Guatemala a sua volta appoggiato da Bush. E' una brutale semplificazione, ma non importa.
Rampoldi riesce a dire che il Guatemala non è uno stato di diritto (evviva!), ma in fondo è sempre meglio del Venezuela che -pur essendo pienamente uno stato di diritto- ha relazioni addirittura con il paria Ahmedinejad e di ritorno ha perfino fatto scalo a Minsk, capitale che in Italia ha oramai una stampa peggiore della Berlino hitleriana.
Fantastico Rampoldi... lui non sa che Ahmedinejad incontra Prodi come incontra Chávez e che l'Italia, come partner economico per l'Iran, è ben più importante del Venezuela. Se Italia e Germania fanno affari in Iran si scrive nelle pagine economiche e si fanno i complimenti, se li fa il Venezuela è una minaccia per il mondo ed è oggetto di scandalo.
Rampoldi glissa il più possibile sul fatto che quello che unisce Venezuela e Iran è da un lato un comune -e più che legittimo- interesse energetico, ma dall'altro c'è l'essere entrambi assediati dagli Stati Uniti. Questi, appena quattro anni fa, organizzarono un colpo di stato a Caracas e minacciano quotidianamente di aggredire militarmente il Venezuela.
Una volta per tutte, caro Rampoldi, è più antiamericano Chávez o è più antivenezuelano e antilatinoamericano Bush?
Non mi risulta che né Chávez né alcun membro del governo venezuelano abbia mai minacciato di morte il presidente degli Stati Uniti. Invece lo ha fatto esplicitamente l'autorevole esponente del partito repubblicano, reverendo Pat Robertson. Non mi risulta che dal Venezuela si inciti al rovesciamento violento del governo degli Stati Uniti come invece si fa quotidianamente dagli Stati Uniti per il Venezuela.
L'unica cosa che è capace di individuare Rampoldi è l'antiamericanismo di Chávez. Teme forse che Chávez possa utilizzare l'ONU per denunciare che negli Stati Uniti è stato appena messo tra parentesi (per usare un eufemismo), il primo e più sacro dei diritti umani, l' "habeas corpus"? Sarebbe un bello scandalo e Chávez sarebbe effettivamente molto imbarazzante. Teme forse Rampoldi che Chávez possa usare il palcoscenico delle Nazioni Unite per denunciare il colpo di stato che gli Stati Uniti stanno organizzando in Bolivia?
Rampoldi non è grossolano come altre penne del suo quotidiano. Pur non sapendo nulla di Venezuela e di America Latina -e perché diavolo gli fate scrivere editoriali sul Venezuela?- capisce che qualcosa sta cambiando e prova a fotografarlo. Intuisce che le tappe bruciate da Chávez rivelino la sconfitta dell'unilateralismo statunitense e disegnino un mondo multipolare. Purtroppo non ha gli strumenti per capire quanto desiderabile sia per questo pianeta un mondo multipolare dove magari un giorno gli Stati Uniti accettino l'onta di ascoltare perfino le ragioni del Venezuela.
E' incerto se scandalizzarsi per il fatto che un paese del Sud utilizzi la propria ricchezza per fare politica estera (e solidale). Capisce che non si può accusare qualcuno di fare a fin di bene qualcosa che gli Stati Uniti fanno da tutta la vita a fin di male, e preferisce tenere un profilo basso.
Solo alla fine, come chiosa, Rampoldi porta a termine il compitino: "per quanto brutta sia la destra venezuelana [...] è difficile capire come sia divenuto un eroe democratico un presidente bonapartista [come Chávez]".
Caro Rampoldi, se vuoi davvero capire, lascia perdere gli epiteti e leggi qualche buon saggio sulla democrazia partecipativa. Ti farebbe bene. Del resto vivi in un paese (gli Stati Uniti) dove poche lobby multimilionarie comprano e vendono candidati e fanno presidenti in un bipartitismo perfetto e immutabile, come al mercato delle vacche. Del resto sei cittadino di un paese (l'Italia) dove una ventina di persone di destra e di sinistra, lo scorso aprile hanno scelto uno a uno i mille parlamentari inscatolandoli in liste bloccate che i cittadini dovevano solo prendere o lasciare. E' comprensibile che la democrazia per te sia un ricordo lontano.
Ma c'è speranza. Vai nell'America Latina desertificata dal neoliberismo e vai nel Venezuela dell'inclusione sociale e forse, se non ci andrai con i paraocchi tipici dell'europeo... forse lo capirai perfino tu perché Chávez è divenuto un eroe democratico

12.10.06

Angelicamente anarchico


Di Don Andrea Gallo, o meglio Andrea come lui ama farsi chiamare, avevo sentito parlare già molti anni fa. Si diceva di lui come di un prete scomodo che voleva vivere a modo suo la vocazione sacerdotale. Le persone scomode mi hanno sempre affascinato perché chi è scomodo al potere è sicuramente persona carica di valori difficilmente riscontrabili in coloro che si adeguano facilmente allo status quo. E Don Andrea ha manifestato fin dall’inizio della sua esperienza sacerdotale una particolare predilezione a vivere a fianco degli ultimi, i poveri , gli emarginati, cercando di sviluppare un metodo educativo scevro da ogni forma di coercizione. Conosciuto anche per la sua grande amicizia con Fabrizio de Andrè, Don Andrea con il grande cantautore genovese prematuramente scomparso, condivideva anche il pensiero libertario. Non a caso il suo ultimo libro è titolato “Evangelicamente anarchico”. Nessun titolo si addice così bene alla personalità del suo autore. In questo testo autobiografico don Gallo afferma che il posto di un prete “e' fra la gente: in chiesa, per strada, in fabbrica, a scuola e in ogni dove vi sia qualcuno che soffra e che abbia bisogno di aiuto”. Di conseguenza lui ha deciso di percorrere la sua strada insieme ai tossici, alle prostitute, ai deviati, ai balordi, ai border-line, ai migranti e a tutti coloro che, come diceva De Andre' "viaggiano in direzione ostinata e contraria". La lotta al disagio ed alla droga, la politica e la globalizzazione, sono i temi che ad Andrea stanno più a cuore. E l'anarchia. Che secondo lui e' uno stato dell'animo, una categoria dello spirito.
Tra le cose che non dimenticherò mai e che custodirò gelosamente dentro me fino all’ultimo dei miei giorni, c’è sicuramente l’incontro con Andrea Gallo. E’ successo lo scorso febbraio in occasione dell’incontro pubblico organizzato dall’Associazione culturale ‘l Ghirù, Associazione di cui sono uno dei soci fondatori e che è formata da un piccolo gruppo di amici che condividono la passione per l’impegno sociale e politico, impegno tanto indispensabile tra le vallate valtellinesi caratterizzate da una forte prevalenza del pensiero reazionario.
Passare una serata con Andrea è qualcosa di indimenticabile. La sua carica umana, l’innata curiosità, il suo desiderio di far capire che l’impegno e la semplicità sono armi formidabili per combattere i potenti, la voglia di fare e di investire sul futuro come se fosse un giovane ventenne e il suo incredibile ottimismo, sono talmente rari da trovare tutti insieme in una stessa persona che avere la fortuna di conoscerlo è veramente qualcosa di indimenticabile. Quando ci siamo salutati alla fine della serata è come se avessi salutato un amico d’infanzia. Tale è il suo modo di farti sentire completamente a tuo agio e la sua grande capacità di trasmettere calore umano e semplicità.
Raccontare la sua vita sarebbe impresa che richiede parecchio tempo, perciò mi limiterò a descrivere i fatti più salienti che caratterizzano la sua lunga storia.
Don Andrea inizia il noviziato nel 1948 a Varazze e prosegue poi il Liceo e gli studi filosofici a Roma. A 25 anni chiede di andare in missione in Brasile ma dopo un anno è costretto a rientrare in Italia a causa del clima insopportabile che si era venuto a creare in seguito alla feroce dittatura militare. Un anno dopo viene nominato cappellano sulla nave scuola Garaventa, un riformatorio per minori, dove cerca di sostituire i soliti metodi rieducativi basati unicamente sulla repressione, con l’introduzione di un’impostazione educativa molto diversa, dove fiducia e libertà sono alla base del tentativo di recupero dei ragazzi. Questi parlavano con entusiasmo di questo prete che dava loro il permesso di uscire, andare al cinema e vivere momenti comuni di autogestione. Ma i superiori, guarda caso, dopo tre anni lo rimuovono dall’incarico.
Viene in seguito nominato cappellano del carcere di Capraia e successivamente destinato in qualità di vice parroco alla chiesa del Carmine. Nel 1970 viene nuovamente trasferito per ordine del Cardinale Siri. Quello che si voleva far passare per un normale avvicendamento di sacerdoti, era in realtà una punizione per la sua scelta di uscire dai canoni classici del sacerdozio per privilegiare il suo impegno con gli emarginati e per le contraddizioni che questa sua scelta apriva all’interno della chiesa genovese. La sua predicazione irritava parte dei fedeli e preoccupava la Curia, a cominciare dallo stesso Cardinale. Si pensava che i contenuti della sua predica "non erano religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti". Andrea non si limita a predicare dal pulpito, ma mette in pratica le sue idee invitando i fedeli a fare altrettanto. La parrocchia diventa presto un luogo di aggregazione per molti giovani ed adulti, i più poveri ed emarginati della città vi trovano solidarietà ed un punto d’incontro e di ascolto. La sua chiara collocazione politica fa si che la parrocchia diventi un punto di riferimento per molti di quei militanti che si riconoscono nella nuova sinistra.
Ma il provvedimento di espulsione non si fa attendere. L’occasione viene fornita da una predica in seguito alla scoperta di una fumeria di hashish nel quartiere. Prendendo spunto da questo fatto che aveva suscitato l’indignazione dell’alta borghesia genovese, Andrea ricordò nella sua predica di ben altre droghe. Droghe molto diffuse ma che non creavano nessuna indignazione. Per esempio quelle di certo linguaggio che definisce "inadatto agli studi" un ragazzo figlio di poveri, oppure “un’azione in difesa della libertà” bombardare popolazioni inermi. Fu subito accusato di essere un comunista e di aver superato il limite. La Curia decide di allontanarlo dal Carmine e questo provvedimento provoca nella parrocchia e in tutta Genova, un forte movimento a suo sostegno. Ma la Curia non arretra dalla sua decisione e lo destina all'isola di Capraia per isolarlo definitivamente.
Andrea rinuncia all’incarico e pur dovendo lasciare la parrocchia non abbandona il suo impegno. L’enorme manifestazione di solidarietà che gli venne attribuita dalla gente scesa in piazza per difenderlo, diventa un incoraggiamento a riaffermare i suoi ideali ed a proseguire nella sua battaglia. Qualche tempo dopo dà vita alla Comunità di S. Benedetto al Porto. Qui vengono accolti tutti coloro che si trovano in situazione di disagio, con particolare attenzione al mondo della tossicodipendenza, degli alcolisti e del disagio psichico. Sin dall'inizio la Comunità ha voluto essere una presenza sul territorio e suo scopo fondamentale è quello di offrire una proposta di emancipazione da ogni forma di dipendenza, all'interno di una partecipazione e confronto critico con il sociale e con il politico. La Comunità ospita oltre cento residenti che svolgono molteplici attività quali il ristorante, la bottega dell’artigianato, e iniziative di solidarietà con i popoli dell’America Latina.
Andrea ha scelto da quale parte stare: quella degli ultimi e degli emarginati, quelli magistralmente cantati dall’amico Fabrizio. La stessa parte che aveva scelto Gesù. Oggi si definisce “un prete da marciapiede” perché è lì che ogni giorno ed ogni notte cerca la speranza in compagnia delle persone bisognose d’aiuto che incontra.
La scelta, anche politica, di Don Andrea è basata non tanto sul credo di un’ideologia, ma sui valori. Lui ritiene che l’ideologia può smarrirsi mentre i valori della pace, della giustizia e dell’equità sociale non potranno mai smarrirsi ed essere confusi. La sua grande speranza è quella che arrivi un giorno in cui saremo tutti un po’ meno ricchi, perché è convinto che il povero ha una speranza non condizionata mentre il ricco spera solo che ciò che ha non venga meno. Per questo si dice certo che non ci sarà mai giustizia finché tutti non diventeremo più sobri e giusti, più parsimoniosi e più poveri.
Per questo io amo questo prete da marciapiede angelicamente anarchico.

7.10.06

Incontro in difesa dell'umanità


Dall’11 al 13 ottobre avrà luogo a Roma il IV Incontro di intellettuali ed artisti in Difesa dell’Umanità che fa seguito a quello tenuto a Caracas nel dicembre di due anni fa. L’incontro si svolgerà presso la sede della FAO in Viale delle Terme di Caracalla. Consiglio coloro che abitano nella capitale e dintorni di non perdere questo interessantissimo avvenimento. Saranno presenti numerosissime ed importanti personalità del mondo intellettuale ed artistico.
Qui sotto pubblico un documento diffuso dagli organizzatori dell’evento.

Aspettative del comitato organizzativo per il dibattito a Roma 2006 In Difesa dell’Umanità
A Roma, nella cui collina di Monte Sacro accadde una delle prime ribellioni popolari civico militari dell’umanità e dove emerse il pensiero di libertà e indipendenza del futuro Libertador Simón Bolívar, umanisti del mondo si riuniranno per cercare di costruire un’offensiva basata sulla resistenza millenaria dei popoli, che permetta di definire lineamenti a carattere universale, rispettuosi della diversità e della pluriculturalità, sopra i quali generare nuovi meccanismi di azione e di lotta per la difesa dell’umanità. Gli umanisti, come lavoratori sociali, dobbiamo lottare attivamente affinchè si rafforzi, attraverso la ragione, l’impero della giustizia sociale: unica maniera di raggiungere la pace e assicurare il rispetto, la dignità, la solidariettà e la tolleranza tra tutti gli esseri umani nella terra.
Oggi l’umanità vive tempi drammatici di irrispetto verso il diritto internazionale, sotto lo sguardo indifferente e complice delle Nazioni Unite, mentre la mediocrità e la codardia utilizza leader di alcune delle principali potenze economiche e militari del mondo. In modo sfacciato non si rispettano gli Accordi della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra e protezione delle popolazioni civili, e con la scusa di combattere il terrorismo si cerca di legittimare la violazione dei più elementari valori e principi della dignità umana, attentando al diritto all’autodeterminazione dei popoli, la sovranità delle nazioni, il diritto alla vita, il diritto all’informazione veritiera ed opportuna; tutti quelli che sono trasgrediti in forma sistematica e unilaterale.
Attualmente centinaia di milioni di esseri umani sono oggetto di aggressioni da parte delle principali potenze del mondo, in forma diretta o indiretta. Invasioni, occupazioni, guerre, estorsioni ed altri meccanismi sono esercitati impunemente contro popoli interi al fine di controllare le più importanti fonti di energia fossile in America, Africa e Medio Oriente. Si tratta di una spirale di pazzia e silenzio “complice”, che danneggia molti paesi come il Venezuela, Irak, Iran, Afganistan, Libano, Palestina, e Sudan, tra gli altri; tutti essi vittime della prepotenza e desiderio di dominazione imperialista di queste potenze che, in nome della loro particolare democrazia e del loro interessato concetto di libertà, esibiscono le loro politiche intervenzioniste e un chiaro terrorismo di stato nel mondo, riempendo l’umanità di morte, miseria, povertà e fame. Mentre le altre Nazioni, non invase o aggredite militarmente, vengono sottomesse con debiti esteri immorali e ingiusti, o meglio, attraverso il controllo di altre fonti di materia prima, delle loro fonti idriche e biodiversità, così come del ricatto economico, imposizione di trattati commerciali unilaterali, con norme disuguali di commercio internazionale imposte dalla OMC, e con la concentrazione dei mezzi di comunicazione ed il sequestro della verità, collocandola al servizio della disinformazione, il razzismo, la xenofobia e la discriminazione religiosa, tra gli altri.
Coscienti del peggioramento delle condizioni di vita del pianeta, gli intellettuali del mondo pianifichiamo di nuovo un incontro, il cui obiettivo è quello di impegnare tutta la forza del pensiero e della creazione con la causa della giustizia e la pace nel mondo. I tempi che viviamo non ci permettono solo di dichiararci indignati davanti all’ingiustizia, sono tempi di accordi, impegni e azioni concrete, che ci obbligano ad integrarci con umiltà ed in forma attiva nelle associazioni e nelle organizzazioni di base esistenti in tutto il mondo, senza protagonismi individuali e disposti a conoscere ed accompagnare le lotte dei popoli invasi, dei lavoratori, dei contadini, dei disoccupati, degli sfruttati e sfruttate, degli emarginati, delle donne e uomini, dei popoli indigeni e non, degli afro-discendenti, arabi, emigrati e immigrati, minoranze sessuali, bambini abbandonati, di coloro che reclamano pane e dignità, gli anziani, le persone diversamente abili, vittime del commercio sessuale; principali protagonisti della lotta sociale in difesa dell’umanità.
Di fronte alle sfide che ci impone il debito del passato e quelle del presente e del futuro, abbiamo unito gli sforzi per riunirci nel 2006 a Roma, nella vecchia Europa, quando si compiono sessanta anni dalla creazione della frustrata e tradita Unione di Nazioni presso la sede della FAO, dove si suppone che il mondo dovrebbe pianificare, realizzare ed unire volontà politiche ed economiche per abolire la fame nell’umanità - una realtà ogni giorno più distante, con il fine fondamentale di coordinare le nostre azioni e dare uno speciale riconoscimento agli attivisti intellettuali, artisti e movimenti di base dell’Africa, e ai popoli e governi della Repubblica Bolivariana del Venezuela e della Repubblica della Bolivia per il loro sforzo a costruire un processo di emanicipazione democratico e pacifista di giustizia sociale, di equità e pace, a partire dal protagonismo popolare e dai loro movimenti partecipativi che si sviluppano tra i popoli del Sudamerica; un riconoscimento inoltre per il popolo cubano e per il suo Comandante Fidel, per il suo esempio costante di decenni di lotta contro l’impero, molte volte quasi in solitudine, ma con la dignità ed il coraggio di chi ha la giustizia e la ragione dalla sua parte.
Rodrigo O. Chaves S.

29.9.06

Caccia alle streghe


Che l’Italia, come del resto tutti gli altri paesi europei, sia un paese democratico è scontato, ciò che non è chiaro è cosa significhi essere un paese democratico. In un paese democratico è possibile dire quello che si vuole, pubblicarlo, costituire un partito, ecc., mica siamo a Cuba dove non è consentito dissentire! Ma è proprio così? A me risulta che si possa dire e fare tutto quanto sopra finché si rimane entro i limiti del sistema capitalista. Se uno si attiva per organizzare un movimento che si oppone a questo sistema proponendo un sistema alternativo, sembra che le garanzie democratiche vengano meno. D’altronde la repressione dei movimenti nati negli anni ’70 in seguito alle grandi contestazioni del ’68, ne sono un esempio lampante. E la situazione non è cambiata nemmeno ora. Chi lotta contro le ingiustizie del sistema capitalista dove i furbi si arricchiscono alle spalle dei lavoratori onesti cui sono riservati miseri stipendi e pensioni da fame, viene additato come pericoloso sovversivo e contro di lui viene scatenata l’ennesima campagna giudiziaria con lo scopo di fermare chi si propone di cambiare questo stato di cose.
Di seguito pubblico un appello del CARC, Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo, che mi è stato inviato da Mirco, un frequentatore del blog.
L’appello è stato sottoscritto da molti cittadini comuni, partigiani e personalità quali Margherita Hack, Giulietto Chiesa e Don Andrea Gallo.

APPELLO DEL CARC
La campagna di persecuzione contro i comunisti avanza nel
nostro paese come in tutta Europa. Ancora una volta la
magistratura, nel caso specifico la Procura della
repubblica presso il Tribunale di Bologna, attraverso il
pubblico ministero Paolo Giovagnoli, intenta una nuova
caccia alle streghe, un’operazione di repressione
preventiva degna dei tempi del fascismo, contro il (nuovo)
Partito comunista italiano.
Per i prossimi mesi si preparano quindi dai 12 ai 40
arresti di presunti membri del (nuovo) Partito Comunista
Italiano per Associazione sovversiva (art. 270 bis),
imputazione nata nel ventennio fascista con il codice Rocco
e applicata dai Tribunali speciali fascisti per incarcerare
centinaia di comunisti e antifascisti (sulla persecuzione
politico-giudiziaria della “carovana” e del (n)PCI vedere
il dossier a cura del Comitato di Aiuto ai Prigionieri
politici del (n)PCI -Parigi).
Denunciamo la campagna che la magistratura, su commissione
della banda Berlusconi prima e oggi con il Governo di
centro sinistra, opera da lungo tempo contro la rinascita
del movimento comunista nel nostro paese. Questa è l’ottava
inchiesta aperta a carico della “carovana” che dal 1980 ad
oggi ha lavorato con forza e determinazione alla rinascita
del movimento comunista e alla costruzione di un nuovo
partito comunista nel nostro paese. Le precedenti inchieste
si sono sempre concluse con un non luogo a procedere e con
un’archiviazione.
Sappiamo che lo zelante persecutore di turno, Paolo
Giovagnoli, già salito all’onore delle cronache per la sua
attività di inquisitore e dispensatore del reato
associativo a Bologna, come ad esempio contro gli studenti,
rei di aver autoridotto la mensa, non si fermerà e cercherà
di ottenere, vista la formalizzazione della chiusura della
fase investigativa, gli arresti che richiede.
Oggi la borghesia attacca apertamente i diritti di
espressione, associazione, organizzazione delle masse
popolari. Si delinea sempre più chiaramente la
tendenza “eversiva” della borghesia, a violare
sistematicamente le leggi del suo stesso ordinamento. Con
l’alibi della lotta al terrorismo si giustifica la
persecuzione dei comunisti, degli antimperialisti, degli
immigrati, dei rifugiati politici a livello nazionale e
internazionale (sequestri di immigrati, caso Abu Omar,
utilizzo sistematico della tortura, pratica di
annientamento contro i prigionieri rivoluzionari articolo
41/bis, creazioni di polizie parallele, intercettazioni e
schedature di massa, violazione dello statuto di rifugiati
politici, liste nere contro organizzazioni comuniste e
antimperialiste).
I tentativi in sede UE di interdire il simbolo della falce
e martello, l’approvazione da parte del Consiglio d’Europa
il 25 gennaio scorso della direttiva Lindblad, sono segnali
chiari dell’intenzione della borghesia di criminalizzare
il comunismo e perseguitare chi professa e lavora per la
rinascita del movimento comunista, chi lotta per una
società senza più padroni, senza sfruttamento, miseria e
guerra.
A ciò si aggiunge l’accelerazione della repressione nel
nostro paese e i fatti di questi mesi lo dimostrano: gli
arresti e le perquisizioni contro i compagni sardi di A’
Manca pro Indipendentzia, punto di riferimento della lotta
anticoloniale e antimperialista in Sardegna, e la
vergognosa sentenza del Tribunale speciale di Milano contro
gli antifascisti milanesi, rei di aver difeso in piazza i
valori della Resistenza e di aver tentato di impedire una
parata nazifascista nella Milano capitale della Resistenza
e della liberazione dal nazifascismo.
Quando esponenti della borghesia (i Ricucci, i Previti, i
Vittorio Emanuele, i Fazio), quelli che loro chiamano vip,
cascano, per errore o per lotta interna tra fazioni, nelle
maglie della magistratura la repressione per loro significa
pochi giorni di carcere e nella peggiore delle ipotesi
arresti domiciliari nelle loro lussuose ville, per le masse
popolari, per le sue avanguardie, per i comunisti e gli
antifascisti significa mesi e anni di carcere.
La giustizia della borghesia è la giustizia di una classe
che deve difendere con le unghie e con i denti il proprio
potere, privilegi, vizi e immense ricchezze accumulate
sulla fatica e il sangue delle masse popolari.
La persecuzione contro il (n) PCI si inserisce nel clima
più generale di attacco alle conquiste di civiltà e
progresso ottenute nel nostro paese dai comunisti e dalle
masse popolari grazie alla Resistenza e alla vittoria sul
nazifascismo. Si inserisce nella tendenza eversiva e
reazionaria che la borghesia mette in campo per cercare di
gestire la crisi profonda, economica, politica e culturale,
che la attanaglia.
Per la borghesia contrastare la rinascita del movimento
comunista e il rafforzamento del (n)PCI è il compito
centrale nella sua guerra contro le masse popolari.
Facciamo appello a tutte le organizzazioni comuniste,
antimperialiste, anarchiche, progressiste, ai sinceri
democratici, agli organismi e movimenti di lotta a
respingere la campagna in atto di criminalizzazione del
comunismo e di persecuzione dei comunisti..
Invitiamo tutti a esprimersi pubblicamente sull’inchiesta
del “novello Torquemada” Giovagnoli contro il (n)PCI, a
inviare telegrammi di protesta all’indirizzo della Procura
di Bologna, Piazza Trento e Trieste, 401347 Bologna, tel.
051201111, fax 051 201948, inviare una e-mail per
conoscenza a: cap_npci_paris@voila.fr
A costituire entro settembre un momento nazionale di
discussione sulla situazione repressiva nel nostro paese.
Colpire i comunisti vuol dire colpire le masse popolari,
colpire le conquiste di civiltà e progresso frutto della
lotta di liberazione.
CARC, Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo,
Direzione Nazionale: Via Tanaro 7 - 20128 Milano
Tel/Fax 02.26306454 e-mail: resistenza@carc.it sito: http://www.blogger.com/www.carc.it

25.9.06

Telefoni liberisti? JaJahJajahJajahhhhhhh


Le liberalizzazioni che avrebbero dovuto creare maggiore concorrenza con riduzione delle tariffe a tutto vantaggio dei cittadini, sembra che non abbiano portato ai risultati desiderati. O meglio, non quelli promessi ai cittadini. Sicuramente se ne sono avvantaggiati i grandi capitalisti che si sono accaparrati le galline dalle uova d’oro, cioè le imprese pubbliche costruite con i nostri soldi. Lo Stato ha investito enormi capitali per costruire autostrade, ferrovie, reti telefoniche, linee elettriche, ecc. Questi investimenti hanno contribuito a creare quell’enorme debito che tanto incide sulla finanza pubblica. Però, contrariamente ad altre voci che compongono il debito pubblico, questi investimenti avrebbero dovuto ammortizzarsi rapidamente in quanto lo Stato incassava le tariffe che i cittadini pagano per questi servizi. Ma qualcuno ha pensato bene di accaparrarsi questo fiume di denaro a proprio uso e consumo. Così si è cominciato a parlare di liberalizzazioni. Lo Stato non poteva essere proprietario di queste imprese che non permettevano la libera concorrenza impedendo al paese di modernizzarsi. Non poteva rimanere legato a vecchi concetti che ci facevano assomigliare più all’ex Unione Sovietica che ad un moderno stato liberale. Ce lo hanno spiegato tutti: gli opinionisti, i grandi economisti, la stampa, la televisione, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il WTO, i partiti liberali e perfino quelli di sinistra. Oltre alle raccomandazioni dell’Unione Europea e dei nostri più grandi amici, gli americani. Detto fatto, si è deciso di privatizzare. Qualcuno ha cominciato a dire che forse non era il caso, che così facendo il paese si sarebbe impoverito, che i lavoratori ed i cittadini sarebbero stati meno tutelati, che in altre parti del mondo la cosa non stava funzionando molto bene. Si sono mobilitati cittadini in tutto il mondo ed è nato quel grande movimento che vede impegnati milioni di cittadini che si riconoscono nello slogan “un mondo migliore è possibile”. Ovviamente sono stati subito tacciati di essere dei pericolosi comunisti che vogliono impedire il progresso e ad ogni manifestazione che organizzano vengono pestati ben bene dalle polizie di tutto il mondo al servizio di coloro che governano per il nostro bene….
Come stiano andando le cose le persone di buon senso lo hanno capito da un pezzo. Basta vedere in che condizioni è stata ridotta l’America Latina e tutti quei paesi dove il liberismo imperante ha impoverito molti per arricchire pochi e distrutto intere economie, basta pensare al caso Argentina. E basta guardare cosa sta succedendo in casa nostra dopo la privatizzazione di autostrade, ferrovie, telefoni, gas, luce, ecc. Prendiamo ad esempio i telefoni che in questi giorni sono saliti alla ribalta della cronaca grazie al caso Telecom. Quando c’era la famigerata Sip, impresa pubblica cioè dei cittadini, i telefoni funzionavano benissimo, le tariffe erano basse e ci lavoravano centinaia di migliaia di lavoratori ben stipendiati e tutelati. Dopo la privatizzazione ci lavorano pochissime persone con salari ridicoli e senza nessuna tutela, le tariffe sono salatissime, lo Stato è sempre più indebitato ed ha regalato un fiume di denaro a coloro che si sono accaparrati l’affare, Telecom naviga in un mare di debiti mentre i padroni del vapore hanno incrementato notevolmente le loro ricchezze personali.
Al di là di ogni convinzione politica o ideologica, credo che queste siano verità inconfutabili e dovrebbero spingere tutti i cittadini a ribellarsi ed a chiedere a gran voce ai nostri governanti di tornare sui propri passi prima che sia troppo tardi. Anziché irridere a quei Paesi come il Venezuela, la Bolivia e la stessa Argentina che tornano a nazionalizzare le imprese strategiche, sarebbe meglio seguirne l’esempio. Ancora qualche anno di queste politiche scellerate e la situazione diventerà irrimediabile. Anche perché per milioni di cittadini che devono vivere con salari da fame e pensioni ridicole, la situazione è già drammatica.In attesa che i nostri governanti si rendano conto della situazione e trovino i dovuti rimedi, cerchiamo di correre ai ripari. Parlando di telefonia, visto che le compagnie fanno cartello imponendo dei prezzi assurdi e che la nostra Authority sembra disinteressarsi, non sarebbe il caso di sfruttare tutti i vantaggi che le nuove tecnologie mettono a disposizione? Oggi è possibile comunicare GRATIS in tutto il mondo, basta avere una connessione internet, una cuffia ed un microfono. Queste informazioni dovrebbero essere diffuse da tutti i mezzi di informazione ma così non è, e le ragioni le conosciamo bene. Per questo Beppe Grillo ha fatto conoscere la tecnologia Voip durante i suoi spettacoli in giro per l’Italia dimostrando in diretta che si può chiamare tutto il mondo a costo zero con persone connesse alla rete, o a pochi centesimi di Euro al minuto a tutti i numeri di rete fissa. Sono molte le compagnie che offrono queste opportunità, le più conosciute sono Skype, Messanger,VoipDiscount, VoipStunt, JaJah, ed altre. Con quest’ultima compagnia non sono necessari nemmeno cuffia a microfono, basta digitare sul computer il numero che si vuole chiamare, il vostro telefono squilla, alzate la cornetta ed in pochi secondi siete collegati con il numero desiderato. Facile no? Allora perché continuare a svenarci per ingrassare i Tronchetti Provera di turno? Visitate il sito della compagnia all’indirizzo http://www.jajah.com/info/rates/ scaricate il programma ed è fatta.
Pensate che bello, risparmiamo e mettiamo sul lastrico i cialtroni!!!! JajahJajahJajahhhhhhh

19.9.06

Conclusa la XIV Cumbre MNOAL


Si è appena chiusa la XIV Cumbre dei Paesi non allineati che si è tenuta all’Avana. Visto che i nostri mezzi d’informazione sembra abbiano ritenuto poco importante questo incontro al quale hanno partecipato i rappresentanti di 118 paesi che rappresentano a loro volta circa tre quarti della popolazione mondiale, vedo di farmi carico per i frequentatori del blog di tradurre un riassunto del documento finale. Come si può vedere i temi trattati sono tutti quelli che la diplomazia dei paesi ricchi si guarda bene dall’affrontare preferendo massicce campagne di disinformazione che servono a mantenere l’idea che la democrazia e i diritti umani sono temi che stanno a cuore all’occidente ma non possono essere affrontati perché i paesi sottosviluppati si oppongono all’apertura alla democrazia. Se oltre al riassunto dei temi trattati qualcuno ha voglia di approfondire i contenuti lo può fare cliccando <qui>. Sarà facile rendersi conto che le cose non stanno proprio come ce le raccontano, che la soluzione pacifica ai problemi ed un mondo più giusto sono possibili. E ci si renderà conto del perché del silenzio della grande stampa su questo importante evento.

TEMI MOMDIALI
Esame della situazione internazionale; Funzioni e metodo di lavoro del Movimento; Diritto internazionale; Promozione del multilateralismo; Soluzione pacifica della controversie senza l’uso o la minaccia della forza; Cultura della pace, dialogo tra le civiltà, culture e religioni; Diritto all’autodeterminazione e alla decolonizzazione; Le Nazioni Unite: continuare con la Dichiarazione del Millennio ed i risultati della Conferenza mondiale del 2005 e riforma istituzionale dell’organizzazione, regolare la situazione finanziaria, operazioni necessarie per il mantenimento della pace; Disarmo e sicurezza internazionale; Lotta al terrorismo; Democrazia; Dialogo e cooperazione Nord-Sud; Funzione delle organizzazioni regionali.
QUESTIONI POLITICHE REGIONALI E SUBREGIONALI
Medioriente: Processo di pace; L’occupazione dei territori palestinesi e Gerusalemme orientale; Il Golan siriano occupato; Territori occupati del sud del Libano e la recente aggressione israeliana al Libano.
Africa: Angola; Arcipelago di Chagos; Jamahirya Araba in Libia; Somalia; Il Sudan; La regione dei Grandi Laghi; Sahara occidentale.
Asia: Afganistan; Iraq e Kuwait; Penisola coreana; Asia sudorientale; Repubblica Araba di Siria.
America Latina e Caribe: Belize e Guatemala; Cuba; Panamà; Venezuela; Guyana; Honduras; Bolivia.
TEMI DELLO SVILUPPO E DEI DIRITTI UMANI
Paesi meno avanzati; Paesi in via di sviluppo senza litorali e piccoli stati insulari; Commercio; Cooperazione Sud-Sud; Migrazione internazionale e sviluppo; Acqua; Il Mar Morto; Il Caribe; Energia; Diritti umani e libertà fondamentali; Razzismo e discriminazioni razziali, schiavitù e traffico di persone; Diritto internazionale umanitario; Assistenza umanitaria; Tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni; Liberazione della donna; Popolazioni indigene; Analfabetismo; Salute, AIDS, Paludismo, Tubercolosi e altre infermità contagiose; Delinquenza transnazionale organizzata; Traffico di droga; Corruzione.


Principi Fondanti del Movimento dei Paesi Non Allineati

1. Il rispetto dei diritti umani fondamentali e dei propositi e principi della Carta delle Nazioni Unite.
2. Il rispetto della sovranità e l’integrità territoriale do tutte le nazioni.
3. Il riconoscimento dell’uguaglianza di tutte le razze e di tutte le nazioni, grandi e piccole.
4. L’astenzione dall’intervenire o interferire nei problemi interni di altri paesi.
5. Il rispetto al diritto di ogni nazione a difendersi, idividualmente o collettivamente, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite.
6. L’astenzione dell’uso di patti di difesa collettiva per servire gli interessi particolari di qualsiasi delle grandi potenze, e l’astenzione di tutti i paesi dall’esercitare pressioni su altri paesi.
7. L’astenzione dal realizzare atti o minacce di aggressione o di utilizzare la forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi paese.
8. Il regolare tutte le controversie internazionali con mezzi pacifici, quali il negoziato, la conciliazione, l’arbitrato, così come come altri mezzi pacifici in conformità con la Carta delle nazioni Unite.
9. La promozione dei mutui interessi e della cooperazione.
10. Il rispetto della giustizia e degli obblighi internazionali.

15.9.06

Ma Israele è un paese democratico


Volevo scrivere qualcosa del genere, frutto di discussioni con alcuni amici, specialmente i radicali, che sostengono che Israele è l'unico paese democratico dell'area medio-orientale. Io ho sempre pensato che se questa è la democrazia.... Poi l'amico Gigi mi ha mandato questo interessante scritto.

Ma Israele è un paese democratico.
Israele proibisce ai cittadini arabi israeliani il ricongiungimento familiare, proibisce a decina di migliaia di palestinesi che hanno ottenuto una cittadinanza straniera di tornare nelle loro case, discrimina gli arabi israeliani sulle licenze edilizie, li esonera dal servizio militare, vietando loro di far parte di una istituzione cardine nella società israeliana, ma Israele è un paese democratico.
Israele viola numerosi diritti umani dei palestinesi nei territori occupati, da quello al lavoro, alla salute, all’istruzione, alla libertà di movimento, come dimostra il rapporto di Amnesty Internazional nel suo briefing del 2006 ( vedi Sopravvivere sotto assedio, edizioni Ega 2006), ma Israele è un paese democratico.
Israele occupa da 39 anni la Cisgiordania, Gaza (fino all’anno scorso), Gerusalemme Est, le Alture del Golan in Siria e le fattorie di Sheba in Libano, in spregio alla risoluzione 242 dell’Onu ; ha violato o ignorato tutte le risoluzioni dell’Onu sulla Palestina, più di quaranta, ma Israele è un paese democratico.
Israele ha espropriato le terre dei palestinesi per costruire decine di colonie per 450 mila ebrei, in modo illegale, contro gli obblighi che la Convenzione di Ginevra impone ai governi occupanti, ma Israele è un paese democratico.
Decine di migliaia di palestinesi, ogni giorno, stazionano per ore e ore davanti al 400 check point dell’esercito israeliano, sotto il sole, spesso invano, sempre umiliati, spesso rimandati indietro, comprese le persone che devono ricoverarsi in ospedale e le donne incinte, ma Israele è un paese democratico.
Diecimila palestinesi sono rinchiusi nelle carceri israeliane, compresi parlamentari, ministri, sindaci, minorenni, e la stragrande maggioranza sono in attesa di giudizio, senza accuse specifiche a carico, ma Israele è un paese democratico.
Dal settembre 2000 al 23 agosto 2006, 4224 palestinesi uccisi (le vittime israeliane 1041) di cui 700 bambini. Dopo il ritiro da Gaza (settembre 2005) uccisi 500 palestinesi e feriti 3.000, 150 case distrutte, come distrutti ponti, strade e centrali elettriche. In tutti i Territori palestinesi da tempo ormai è emergenza umanitaria, come denunciano i rappresentanti delle Nazioni Unite; il 70% dei palestinesi vive in povertà e praticamente di elemosina internazionale, ma Israele è un paese democratico.
Israele sta costruendo un muro alto 8 metri e lungo 750 km, per il 75% all’interno dei Territori palestinesi, deprivando i palestinesi di un altro 15% della poca terra loro rimasta, in spregio alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja e di quella dell’Assemblea generale dell’Onu entrambe del luglio 2004, che condanna come illegale e lesiva dei diritti umani dei palestinesi la costruzione di questo muro e ne ordina la demolizione; i Territori palestinesi sono ormai una grande prigione a cielo aperto, chiusa per mare, per terra e per cielo, ma Israele è un paese democratico.
Israele ha il controllo totale delle acque e ne discrimina pesantemente la distribuzione, lasciando i palestinesi spesso senza acqua, mentre i coloni ne abbondano, perfino per le loro piscine; ai palestinesi 83 metri cubi di acqua annui, agli israeliani 333, ma Israele è un paese democratico.
Non passa giorno che tre o quattro palestinesi non siano uccisi nei bombardamenti quotidiani per terra, per mare e per cielo da parte dell’esercito israeliano, che case non siano distrutte, che ulivi non siano sradicati, campi devastati, nella totale indifferenza e acquiescenza della maggioranza degli israeliani, ma Israele è un paese democratico.
Nella guerra contro il Libano ha fatto uso massiccio di proiettili all’uranio impoverito e di migliaia di bombe a grappolo ( bombe che sganciano altre bombe che, se inesplose, si trasformano in mine), armi vietate dalle convenzioni internazionali, ma Israele è un paese democratico.

Gigifioravanti

P.s. Chi mi conosce sa che non sono antisemita; chi non mi conosce non confonda la critica con l’odio, non sposti il discorsi dall’oggetto- le cose in merito- al soggetto; cose analoghe e ancora più dure sostengono e dicono parecchi ebrei, israeliani e non.

11.9.06

XIV Cumbre del Movimiento de Países No Alineados (MNOAL)


Inizia oggi all’Avana la XIV Cumbre del Movimiento de Países No Alineados (MNOAL). Di questo importante incontro che vede quasi tutti i Paesi non allineati confrontarsi sui grandi temi che regolano le relazioni tra i popoli, si sa molto poco. Per questo ho pensato di fare un breve riepilogo delle intenzioni di questo importante evento che terminerà il 16 settembre.
Di seguito un riassunto dei temi che verranno trattati, che come si vede sono fondamentali per la costruzione di un futuro di pace, giustizia e convivenza fra i popoli, temi che mettono in evidenza l’impossibilità di soluzioni dei problemi se non cesserà al più presto l’arroganza della ormai unica superpotenza mondiale.

Temi all’ordine del giorno degli incontri

· Preservare i suoi nobili ideali, i principi fondanti e gli obbiettivi primari, al fine di consolidare sempre più il Movimento e far si che sia una forza avanzata in questo XXI secolo.
· Determinazione per realizzare tutti gli sforzi possibili per rivitalizzare e rafforzare il Movimento, in maniera che possa operare efficacemente in difesa degli interessi e delle priorità dei paesi membri nel complesso panorama internazionale.
· Multilateralismo come via idonea per trovare soluzioni ai problemi fondamentali che affliggono l’umanità, inclusi quelli relazionati al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
· Il rispetto dei principi consacrati nella Carta dell’ONU e nel Diritto Internazionale, difendendo la sua stretta osservanza, in particolare il rispetto e la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza degli Stati, la non ingerenza negli affari interni degli stessi, e il non uso o minaccia di uso della forza nelle relazioni internazionali.
· La ferma condanna a tutte le azioni militari unilaterali, incluse quelle realizzate senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, così come le minacce di azioni militari contro la sovranità, integrità territoriale e l’indipendenza dei paesi membri del Movimento, che costituiscano atti di aggressione e una manifesta violazione dei principi del non intervento e dell’ingerenza.
· La difesa della carta fondamentale delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e la sicurezza internazionale e il rafforzamento della cooperazione internazionale.
· La difesa del reale ed effettivo avanzamento del processo di riforma e democratizzazione delle Nazioni Unite, incluso il Consiglio di Sicurezza.
· La lotta per la democratizzazione dell’ordine economico-commerciale e politico internazionale attuale, che permetta ai paesi in via di sviluppo di partecipare in piena uguaglianza e in tutte le sfere a livello internazionale.
· Il compromesso di continuare a lavorare per stabilire un sistema internazionale basato sulla pace, la giustizia, l’uguaglianza, la democrazia e il pieno rispetto di tutti i diritti umani e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite e nel Diritto Internazionale.
· Il riconoscimento che tutti i diritti umani sono universali, inalienabili, indivisibili, interdipendenti e interrelazionati e che la comunità internazionale deve trattarli in maniera globale, giusta, equa e con la stessa enfasi, rispettando l’importanza delle particolarità nazionali e regionali e le diverse appartenenze culturali e religiose
· La difesa e la necessità di applicare la protezione e la promozione dei diritti umani in virtù dei principi di obiettività, imparzialità e non selettività, evitando la politicizzazione del tema.
· Il rifiuto all’applicazione di misure coercitive unilaterali che abbiano un impatto negativo sulla realizzazione piena dei diritti umani nei paesi penalizzati da queste azioni.
· La difesa del diritto inalienabile dei popoli, dei territori non autonomi e sotto dominazione coloniale, all’autodeterminazione e all’indipendenza.
· Il fermo appoggio alla causa palestinese e alla ricerca di soluzioni definitive nel processo di pace in Medio Oriente.
· La ferma condanna alla sistematica violazione dei diritti umani e dei crimini di guerra commessi con la forza nell’occupazion,e da parte di Israele contro il popolo palestinese, e il reclamo del pieno ed inalienabile diritto del popolo palestinese all’indipendenza nazionale e alla sovranità, tradotto con la formazione dello Stato della Palestina, con Gerusalemme orientale come sua capitale, e il ritiro di Israele da tutti i territori occupati nel 1967
· Compromesso con il processo di disarmo generale e completo sotto controllo internazionale, verificando in particolare il raggiungimento del disarmo nucleare. I paesi non allineati difendono fermamente l’idea che l’eliminazione totale delle armi nucleari è l’unica garanzia assoluta contro l’uso o la minaccia dell’uso delle stesse.
· La condanna inequivocabile di tutti gli atti, metodi e pratiche del terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, in qualsiasi posto e da qualsiasi siano commessi, così come la riaffermazione della carta centrale delle Nazioni Unite nella campagna internazionale contro il terrorismo.
· La condanna alla continua applicazione unilaterale, da parte di alcune potenze, di misure economiche coercitive e altre, che comprendono l’applicazione di leggi extraterritoriali, contro determinati paesi in via di sviluppo, con l’intenzione di evitare che questi paesi esercitino il diritto a scegliere liberamente il proprio sistema politico, economico e sociale. I paesi non allineati hanno riaffermato che questo tipo di legislazione contraddice le norme del Diritto Internazionale e viola i principi e gli obbiettivi delle Nazioni Unite.

7.9.06

Ricordando Endrigo


Il sette settembre di un anno fa, rendendo triste il mio compleanno, ci ha lasciati Sergio Endrigo. Con lui ho avuto solo un fugace incontro, ma non lo scorderò mai. Musico in poesia, Endrigo è nato a Pola, in Istria, nel 1933. E’ stato uno dei componenti di quel gruppo di cantautori che tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio dei ‘60 hanno portato una ventata di aria nuova nella musica leggera italiana. La sua vena romantica lo ha fatto conoscere al grande pubblico come il cantautore per le giovani coppie innamorate, ma Endrigo è stato molto di più. A mio parere è stato uno dei personaggi più complessi, sensibili, intelligenti e culturalmente avanzati della canzone italiana del secolo appena concluso.
Le sue canzoni dalle melodie indimenticabili, commuovono e incantano. Musicista e poeta, nei pensieri, nella semplicità e nella vita, Sergio Endrigo è conosciuto soprattutto per i suoi successi sanremesi ma la sua carriera artistica è ben più intensa e piena di impegno sociale, politico e umanitario. Ha musicato testi di poeti quali Rafael Alberti, Josè Martì, Pasolini e Ungaretti. Amico di Ignazio Buttitta, di lui ricordava sempre una lettera che il poeta siciliano gli aveva mandato dagli Stai Uniti: “ Sergio carissimo, sono in una terra senza amore. Vedo solo cenere. Meglio carcerato in Sicilia che libero qui. Da dietro le inferriate si può vedere il cielo e il nostro cielo è umano. Ti abbraccio. Tuo Ignazio”.
Nelle sue canzoni, del vivere non indaga solo il lato morboso e non si ferma alla sua dimensione soggettiva e al tema dell’individuo, a quell’intimismo scontroso che ha caratterizzato spesso la canzone d’autore, la sua è una visione delle cose esplicitamente e dichiaratamente politica. Anche quando ha cantato l’amore, lo ha fatto rompendo gli schemi imposti dalla cultura bigotta e reazionaria dell’epoca. Viva Maddalena e Teresa ne sono due esempi chiarissimi. La donna non più moglie e madre ma essere libero e indipendente che vive la sessualità senza mezzi termini. Non a caso le sue prime canzoni per passare alla radio di Stato dovevano essere modificate perché in contrasto con il carattere asessuato con cui all’epoca veniva inteso il rapporto uomo-donna.
Molto intenso fu il suo rapporto con il Brasile, eletto a sua seconda patria. Molto conosciuto ed amato in quel Paese, ha avuto rapporti di collaborazione e di amicizia con artisti come Vinicius de Moraes, Toquiño, Chico Barque de Hollanda, Jobim, Joao Gilberto, Roberto Carlos. In coppia con quest’ultimo vinse anche un Festival di Sanremo. La sua casa di Mentana era diventata il punto d’incontro di tutti questi straordinari musicisti quando passavano per l’Italia. Molti di loro furono costretti ad emigrare a causa della feroce dittatura che seminava terrore nel loro Paese.
Tra i tanti Paesi dove era, e lo è ancora oggi, conosciutissimo ed amato, c’è sicuramente Cuba. Indimenticabile un suo concerto all’Avana alla fine degli anni sessanta quando miglia di cubani si alzarono in piedi per cantare con lui “La rosa bianca” tratta da una poesia di Josè Martì. Alla famosa Bodeguita del Medio alla Habana Vieja si incontra ancora una sua foto con la scritta “Sergio Endrigo, grande cantante italiano” in mezzo a quelle dei grandi personaggi che sono passati di lì.
Altro suo grande merito è stato sicuramente quello di avere rivoluzionato la musica per bambini. Ha scritto canzoni che hanno rotto con la retorica dominante, raccontando storie che rimarranno sempre un esempio ineguagliabile di intelligenza e sensibilità. In collaborazione con il grande amico Vinicius de Moraes e con lo scrittore Gianni Rodari, ha pubblicato brani che sicuramente sono quanto di meglio sia stato pensato e realizzato per l’infanzia.
Ascoltando le sue canzoni si comprende come l’umanità di Endrigo sia composta di amici, chitarre, conchiglie, nidi, uccelli, amori in libertà, ragazze e ragazzi che “tornano dal mare a raccontare che è finita la paura” per dire al mondo “la pura verità”. Infine la presa di coscienza, sofferta e disincantata, ma anche serena, del fallimento di una generazione. La rivoluzione ancora una volta rinviata e affidata ai “ragazzi e ragazze che tornano dal mare”. Perché nella rivoluzione Endrigo ci ha sempre creduto, non ha mai nascosto, anche se non lo ha mai sbandierato, di essere comunista. Ha sempre coltivato l’utopia di un socialismo che rendesse gli uomini tutti uguali. Comunista e non credente, al punto che i suoi funerali, per suo volere, si sono svolti senza funzione religiosa.
Coerente fino in fondo, dopo l’immenso successo degli anni sessanta e settanta, visto che il clima cambiava e che l’interesse delle case editrici e di tutto quanto gira intorno alla musica stava prendendo direzioni esclusivamente commerciali, si è ritirato in punta di piedi nella sua casa romana frequentata da ventotto gatti, lasciatigli in eridità dalla moglie scomparsa nel 1994, dalla figlia Claudia e da pochi amici. Ha continuato a scrivere canzoni e ha pubblicato anche degli album di ottima fattura ma senza l’appoggio della mostruosa macchina commerciale che sta dietro il mondo della canzone, non ha raggiunto il pubblico, nemmeno quello più attento alla qualità. Ha scritto anche un bel libro dal titolo inquietante “Quanto mi dai se mi sparo” dove racconta il mondo cinico e baro dell’ambiente dello spettacolo dal quale è riuscito a non farsi stritolare. Ovviamente nessuno si è preso la briga di rilanciare l’immensa opera che ci ha lasciato in eredità. Disse in un’intervista: “La canzone come scambio, racconto di un’emozione, di un fatto, è morta”. “I tempi sono cambiati e basta”. Le sue atmosfere, già da sempre lontane dal fracasso, schive, mal si adattarono al frastuono degli anni ottanta e seguenti. Non provava amarezza, rabbia o rancore. Anche quando è rimasto solo e dimenticato da tutti non ha mai perso la sua grande dignità e saggezza. E non si è mai prestato, contrariamente ai più, a fare il pagliaccio in certe melense trasmissioni per cercare una nuova notorietà.
Un uomo coerente come pochi Sergio Endrigo. In una delle sue ultime interviste disse: “anche se ho scarsa fiducia nei rappresentanti di Dio in terra, credo di avere rispettato i dieci comandamenti meno un paio….circa. Ho nominato il nome di Dio, diciamo “invano”, perché sono veneto e da noi la bestemmia è, a volte, un semplice intercalare e poi, qualche volta, ho desiderato la donna d’altri. Non ho mai fatto volontariamente del male a nessuno. Posso aver sbagliato, questo sì. Ma…. chi è perfetto?”
Avercene di persone così. Di lui conservo tutti i suoi dischi, un suo autografo e il ricordo di un incontro al Festival dell’Unità di Rimini all’inizio degli anni settanta.
Anche per fare contento l’amico Kalos trascrivo i versi de “La rosa bianca” tratta dai versi del poeta e rivoluzionario cubano Josè Martì.

La rosa bianca
(Martì-Gustavino-Endrigo)

Coltivo la rosa bianca
in luglio come in gennaio
per l’amico sincero
che mi da la sua mano franca
Per chi mi vuol male e mi stanca
questo cuore con cui vivo
cardi né ortiche coltivo
coltivo una rosa bianca


Cultivo la rosa blanca
en julio como en enero
para el amigo sincero
que me da su mano franca
Y para el cruel que me arranca
el corazon con que vivo
cardos ni ortigas cultivo
cultivo la rosa blanca

3.9.06

Poesia, Musica e Liberazione: Quintin Cabrera


Ho parlato spesso, è lo scopo di questo blog, dell’informazione cosiddetta democratica e della sua miopia. Della sua funzione al servizio dei potenti per indirizzare l’opinione pubblica all’accettazione delle loro logiche e alla martellante campagna denigratoria verso coloro, Paesi, popoli, movimenti o singoli individui, che si oppongono al degrado ed alla violenza distruttiva di quello che non può che essere definito l’Impero. Il condizionamento mediatico delle coscienze passa anche attraverso la diffusione massiccia di mode, tendenze culturali, musicali ed artistiche, provenienti in gran parte dagli Stati Uniti, che hanno la funzione di omologare i gusti e gli interessi delle persone al livello più basso possibile in modo da limitarne la capacità di critica al sistema dominante. Speculandoci pure alla grande con le industrie del settore. Come logica conseguenza di questa politica si ha una diffusione massiccia di “spazzatura” ed un puntuale oscuramento di personaggi che, per la loro statura ed onestà intellettuale, meriterebbero invece di essere fatti conoscere al grande pubblico. Personaggi magari anche premiati con un Nobel ma subito dimenticati, se non in alcune occasioni di comodo. Molte di queste personalità lavorano per indicare vie e percorsi per superare molti dei mali che affliggono la nostra epoca.
Per questo ho deciso di dedicare periodicamente un post a questi spesso semisconosciuti personaggi che con la loro opera danno un grande contributo alla cultura progressista. Voglio iniziare questo discorso parlandovi di Quintin Cabrera, poeta e cantautore uruguaiano che vive da molti anni in Spagna, in Catalogna prima e a Madrid poi.
Quintin Cabrera Beduchaud è nato a Montevideo il 25 Aprile 1944, figlio di Quintin Cabrera e Lydia Beduchaud, eredi da varie generazioni di famiglie di lavoratori. Fin da giovanissimo leggeva e diffondeva la stampa fedele al motto “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Impegnato politicamente, fu cantautore e poeta ed uno dei massimi esponenti di quell’epoca di indimenticabili fermenti culturali e politici messi a tacere dall’affermarsi in tutto il Sudamerica di atroci dittature imposte dall’imperialismo Usa. Costretto a lasciare il suo Paese, atterrò all’aeroporto del Prat di Barcellona 35 anni fa con la sua chitarra in mano ed il cuore pieno di sentimenti da usare come armi per combattere la dittatura e le ingiustizie. Dopo una settimana già era in piazza con le organizzazioni clandestine che diedero inizio alle Comisiones Obreras, alternando la partecipazione alle manifestazioni con esibizioni insieme a Jordi Roura e frequentando la scuola di Rosa Sensat. Cantò per sostenere i lavoratori impegnati nei grandi scioperi organizzati in Catalogna e per raccogliere i fondi necessari a pagare la cauzione di coloro che vennero imprigionati. Sempre impegnato a sostenere tutti i popoli in lotta, dal Vietnam al Kurdistan, da Cuba al Salvador, e tutte le organizzazioni di sinistra in lotta, fa sorgere spontanea la domanda: Ci sarà qualche altro cantante che si sia impegnato tanto come Quintin Cabrera in atti di solidarietà?
Dopo le canzoni di lotta e la satira umoristica di quell’epoca di agitazioni, oggi, testardo ed onesto come sempre, continua a difendere le nobili “cause perse” cantando la libertà e la solidarietà e, sensibile e tenero, non si dimentica di cantare l’amore, l’amicizia, la malinconia e la gente.
Le sue canzoni provengono dal folklore che il suo Paese condivide con il sud del Brasile e parte dell’Argentina. Con il tempo ha subito le influenze maturate nei suoi tanti viaggi e dall’incontro con i musicisti con cui ha lavorato, guadagnando in complessità, sia dal lato poetico che da quello musicale. Il suo canto è una miscela di sensibilità e tenerezza, ribellione e sorriso, amicizia ed affetto, sempre in cerca della complicità di tutti coloro che credono che un mondo migliore è possibile. Tutte queste emozioni condivise hanno forgiato un artista che in ogni sua esibizione dal vivo e in ogni disco pubblicato, sembra far suo quel verso di Neruda che dice “Non temere, e non pensare. Dare per tornare a dare”. Un cantante che ha fatto suo il consiglio del suo primo maestro: “No hay que cantar mintiendo”. Ora che molti anni sono passati, continua ad essere quel ragazzo che un giorno partì da Montevideo con una chitarra in mano ed un cuore aperto alla meraviglia.

Di questo straordinario artista, snobbato anche dalla sinistra nostrana, scrivo la traduzione di una sua canzone dal titolo “Prontuario criminal”, a mio parere uno dei testi e una delle canzoni più belle che siano mai state scritte contro la guerra e l’imperialismo. Coloro che hanno la fortuna di ricevere Cubavision dal satellite, la possono vedere ed ascoltare in una bellissima versione eseguita con alcuni bravissimi musicisti cubani tra i quali, Chucho Valdès e il grande suonatore di tres (chitarra latina a tre corde) Pancho Amat. Molto bello anche il video che accompagna l’esecuzione dove le riprese degli artisti in sala di incisione si alternano a filmati e fumetti che descrivono in maniera inequivocabile la ferocia con cui l’Impero sta portando morte e disperazione in giro per il mondo. Cubavision la manda in onda quasi quotidianamente da oltre un anno. Se qualcuno volesse conoscere i dati per la ricezione di Cubavision dal satellite, me li può chiedere.
Quintin Cabrera è stato in Italia il 26-11-2005 presso la Camera del Lavoro di Milano per un Convegno Internazionale sull’America Latina. Il filmato dell’incontro è visibile sul sito di Arcoiris all’indirizzo: http://www.arcoiris.tv/ Consiglio a tutti di vederlo perché molto interessante, anche se purtroppo manca la traduzione in italiano.

PRONTUARIO CRIMINAL
(Quintin Cabrera, Pancho Amat y sus cabildo del son)
(Con la partecipacion de Chucho Valdes)


Desde los mismisimos dia
que como Pais nacieron
usurparon, masacraron
degollaron y agredieron

Comprando la democrazia
subyugaron y mentieron
ejecutaron, mataron
bombardearon, sometieron

Por eso y por mucho mas
lo que el yanqui necesita
es una aumentada dosis
de jarabe y vietnamita

Con sus leyes terroristas
al piel roja exterminaron
avasallaron, domaron
lincharon y doblegaron

Con todos los dictatores
urdieron, confabularon
enredaron, engañaron
traicionaron, conspiraron

Por eso y por mucho mas
lo que el yanqui necesita
es una aumentada dosis
de jarabe y vietnamita

Respetan solo al mercado
y sus leyes impusieron
dominaron, liquidaron
oprimieron, destruyeron

En nombre del Cristianismo
a tantos asesinaron
molieron, sacrificaron
manejaron, acabaron

Por eso y por mucho mas
lo que el yanqui necesita
es una aumentada dosis
de jarabe y vietnamita

Contra la libertàd
complotaron, maquinaron
intrigaron, maniobraron
tramaron, confabularon

Siguiendo la religion
del dollar, crucificaron
rebajaron, aplastaron
ahorcaron, nazificaron

Por eso y por mucho mas
lo que el yanqui necesita
es una aumentada dosis
de jarabe y vietnamita
de jarabe y vietnamita….
de jarabe y vietnamita….

Final:

Al yanqui dale una provadita

Messanger, requerdate

Oye Bush, toma una cucharita

Que se acabe el terorismo
y reine la tranquilidad

Hoyeloooooooooo

Abre la boquita, abre la boquita

Vaya que te voi hacer el avioncito
para que te vaya ahora mismo….


TRADUZIONE
(per quanto può valere una traduzione letterale)

Fin dai primi giorni
che come Paese sono nati
usurparono, massacrarono
sgozzarono e aggredirono

Comprando la democrazia
soggiogarano e mentirono
eseguirono, ammazzarono
bombardarono, sottomisero

Per questo e per molto di più
quello che gli Yankee hanno bisogno
è una maggiore dose
di arabi e vietnamiti

Con le loro leggi terroriste
il pellerossa sterminarono
sottomisero, domarono
linciarono ed obbligarono

Con tutti i dittatori
ordirono, confabularono
imbrogliarono, ingannarono
tradirono, cospirarono

Per questo e per molto di più
quello che gli Yankee hanno bisogno
è una maggiore dose
di arabi e vietnamiti

Rispettando solo il mercato
le sue leggi imposero
dominarono, liquidarono
oppressero, distrussero

In nome del Cristianesimo
tanti assassinarono
macinarono, sacrificarono
maneggiarono, sterminarono

Per questo e per molto più
quello che gli Yankee hanno bisogno
è una maggiore dose
di arabi e vietnamiti

Contro la libertà
complottarono, macchinarono
intrigarono, manovrarono
tramarono, confabularono

Seguendo la religione
del dollaro, crocifissero
ribassarono, schiacciarono
impiccarono, nazificarono

Per questo e per molto più
quello che gli Yankee hanno bisogno
è una maggiore dose
di arabi e vietnamiti
di arabi e vietnamiti….
di arabi e vietnamiti….

FINALE

Al Yankee dagli una piccola prova

Messaggero, ricordati....

Ascolta Bush, prenditi un cucchiaino (di tranquillante)

Che termini il terrorismo, e regni la tranquillità

Ascoltaloooooooo

Apri la boccuccia, apri la boccuccia

Vattene che vado a prepararti l’aeroplanino
perché te ne vada subito

Vedi filmato