Ecco un'interessante intervista alla studiosa marxista Isabel Monal.
“Socialismo del XXI secolo? Attenti a non fare confusione”
Di sottoosservazioneIsabel Monal è tra le più autorevoli studiose marxiste e organizzatrici di cultura dell’America Latina. Cubana, dirige la rivista internazionale “Marx Ahora”, presentata il 7 maggio dello scorso anno all’Avana nel corso della “IV Conferenza Internazionale sull’opera di Karl Marx e le sfide del XXI secolo”, promosso dall’Istituto di Filosofia con la partecipazione di studiosi da tutto il mondo. Tra i molti testi interessanti pubblicati nella rivista, segnaliamo i quasi sconosciuti “Arabeschi filosofici” di Bucharin, tre importanti documenti dei popoli indigeni americani, un lungo saggio sull’economia della perestroika e altri approfondimenti sull’imperialismo, su Hegel, Marx, Freud, Gramsci, Althusser, sulla mercificazione della cultura e tanti altri.
Ti chiedo, anzitutto, di spiegare al lettore italiano l’origine della rivista da te diretta “Marx Ahora” e la funzione che essa svolge nel dibattito teorico e politico a Cuba e in America Latina.
La rivista “Marx Ahora” è stata concepita nei primi anni ’90 e il primo numero è uscito nel ’96. Era un momento economicamente molto difficile per la rivoluzione cubana e non era facile trovare la forma migliore per fare uscire la rivista. Era chiaramente un progetto di rivista marxista in un momento di egemonia neoliberale e conservatrice su scala mondiale. Abbiamo pensato molto a quale titolo dare alla rivista. Pensavamo che forse era meglio un titolo più vicino alla linea della lotta nazionale cubana e latinoamericana. L’altra opzione era un riferimento a Marx e al marxismo. Finalmente abbiamo deciso per il riferimento a Marx, non al marxismo, anche se si tratta evidentemente di una rivista marxista che pubblica diverse tendenze della ricerca marxista. Ma volevamo fare un riferimento diretto a Marx, il curatore della concezione, del metodo di tutto il movimento per l’emancipazione sociale dell’uomo. Abbiamo anche pensato che doveva essere una rivista di un Marx della contemporaneità, del mondo di oggi, con i problemi di oggi. Poi è venuta questa idea di “Ahora” che in spagnolo è un’espressione forte, bella, è meglio di “hoy” perché “ahora” ha il significato di un impulso, di un’urgenza. Non è solo un riferimento al tempo, all’epoca, ma è anche un riferimento all’urgenza di agire, all’attualizzazione del marxismo, del suo sviluppo, del suo arricchimento. Abbiamo anche convenuto che doveva essere una rivista teorica, nel senso più ampio del termine: filosofia, economia, teoria politica, ecc. E poi la dimensione internazionale, perché se vogliamo una rivista di qualità abbiamo bisogno di una prospettiva di teorici, di accademici, di politici che esprimano diverse tendenze, diverse concezioni. Anche questa è una ricchezza per la qualità teorica. La rivista esce due volte l’anno perché l’allestimento è complesso in quanto abbiamo bisogno di fare molte traduzioni. Abbiamo pubblicato diversi autori italiani, figure importanti del marxismo italiano di oggi e anche della tradizione e siamo molto orgogliosi di questa linea.
L’America Latina esprime oggi una vitalità sociale e politica che attraversa quasi tutti i paesi, inclusa Cuba. Questa vitalità sembrerebbe prefigurare una forte ripresa della prospettiva socialista. Al contempo, emergono differenze, anche profonde, tra i diversi paesi del subcontinente. Vuoi spiegare lo scenario presente di quello che molti definiscono “il socialismo del secolo XXI”?
In questa vitalità troviamo una diversità di sviluppi, di tendenze, di processi. Si trovano cambiamenti molto moderati, come per esempio in Uruguay. Esiste poi il problema di Lula che non può fare molte cose, anche se pensiamo che avrebbe potuto fare di più. Io difendo Lula, ma c’è una certa disillusione. Poi si trovano altre tendenze rivoluzionarie che sono arrivate al governo ma non al potere. Chavez, che è un vero rivoluzionario e che ha portato avanti un processo di radicalizzazione della rivoluzione. C’è l’esperienza importantissima della Bolivia in cui è la prima volta che è presente al governo un presidente indio. Nel secolo XIX abbiamo avuto in Messico Benito Juarez – un grande uomo d’America che ammiro molto – ma era espressione del movimento liberale. Mentre Evo Morales è espressione del movimento indigeno che è divenuto protagonista del movimento sociale con un progetto nazionale e questo è importantissimo per l’America Latina. Perché prima le ribellioni indiane erano circoscritte, mentre ora il movimento indigeno boliviano si presenta come prospettiva nazionale e internazionale. Questo è veramente straordinario perché mostra che se hai una politica intelligente il movimento indigeno può avere un ruolo nazionale e continentale. Poi c’è l’esperienza dell’Ecuador con un presidente molto bravo che sta aprendo un dialogo con i partiti e con il movimento indigeno dell’Ecuador, anche se non è un processo così radicale come in Venezuela o in Bolivia. Non parlo del Cile che continua ad essere pienamente neoliberale. Ognuna di queste esperienze è diversa dall’altra, perché le tradizioni sono diverse, i rapporti di classe non sono gli stessi, il livello della coscienza di classe, la maturità politica non sono le stesse. Ogni processo sarà diverso dall’altro e ha bisogno di flessibilità. Troviamo anche molte difficoltà e gravi pericoli. Evo Morales sarà capace di controllare una situazione così complessa? Aspettiamo, non è sicuro. Anche il processo venezuelano è diventato molto complicato. Le rivoluzioni sono fatte di uomini, di classi sociali, di popoli diversi che possono sbagliare. Non possiamo quindi essere completamente sicuri che l’esito di questi processi rivoluzionari divenga permanente, si stabilizzi. Ma una cosa è chiara: l’America Latina non sarà più quella di prima. L’imperialismo statunitense e le oligarchie non potranno più fare quel che facevano prima. Questo è chiarissimo. Tu parlavi del “socialismo del secolo XXI”. Io e molte persone che in America Latina lavoriamo su questi temi pensiamo che ci sia molta confusione, che gli scritti su tale questione non siano seri. Dirigenti del movimento indigenista dell’Ecuador, ad esempio, hanno la stessa percezione. Non hanno fiducia in questo concetto, non lo considerano chiaro. Uno di questi dirigenti mi diceva: “Isabel, prima i marxisti mi parlavano del socialismo e io potevo capire cosa voleva dire perché noi abbiamo la proprietà comune della terra. Ma questo socialismo del secolo XXI? Perché del secolo XXI?”. Certo se pensiamo di conseguire il socialismo nelle nuove condizioni del XXI secolo, questa è un’altra cosa: è possibile parlare di socialismo nelle condizioni del secolo XXI, tenendo presenti tutte le cose fatte nel secolo scorso, gli errori, le persecuzioni. Con tutto ciò, con la nuova realtà del mondo, sì, si può parlare di socialismo nel secolo XXI. Ma socialismo del secolo XXI è anche legato all’idea del computer-socialismo che mi sembra una concezione molto debole, è legato all’influenza della scuola scozzese, la scuola di Bremen, di Arno e il suo computer socialismo. Non sono d’accordo che la democrazia del socialismo sia solo partecipativa, ha bisogno di essere sociale. Cosa voglio dire: l’analfabeta, l’illetterato può partecipare ma continua ad essere emarginato. Vogliamo il socialismo partecipativo e sociale insieme. Chi ha teorizzato questo socialismo del XXI secolo sostiene che la legge del valore non esiste più perché ci sono i computer! Questa è l’incomprensione totale della concezione marxista dell’economia politica.
Qual è il ruolo di Cuba all’interno di questa ripresa della sinistra e dei movimenti sociali in America Latina? Che funzione svolge oggi Cuba, che ruolo ha, anche sul piano della riflessione teorica, all’interno di questa ripresa della sinistra latinoamericana?
Il più grande contributo di Cuba è di esistere, di essere là e questo è riconosciuto da tutte le forze progressiste. Perché Cuba ha resistito, ha dimostrato che era possibile arrivare al socialismo, con tutte le difficoltà che abbiamo. Che è possibile resistere all’imperialismo se si fa in una maniera intelligente, con l’unità del popolo, difendendo i propri principi. Questo è stato uno stimolo morale, politico, ideologico per tutte le forze progressiste e socialiste dell’America Latina. Perché bisogna considerare che la fine delle terribili dittature in America Latina è stata segnata da una specie di illusionismo, con democrazie di tipo borghese. Si pensava che con la democrazia avremmo risolto la questione sociale, in un contesto che vedeva a livello mondiale la fine del socialismo reale e l’avanzata del capitalismo neoliberale come sola e unica alternativa. E l’America Latina è precipitata in una notte terribile: un’enorme povertà, la privatizzazione di tutto, le ricchezze naturali sfruttate e rapinate. Abbiamo adesso questo risveglio del continente e la rivoluzione cubana era là con il suo messaggio di possibilità. Questa è la prima cosa. Fidel Castro è una figura prestigiosa nel mondo e in America Latina, con una forza enorme. Anche persone che non sono né socialiste né marxiste ammirano la lotta, l’intelligenza, la flessibilità di Fidel Castro che non ha mai avuto una concezione marxista settaria o dogmatica. C’è stata l’apertura ai cattolici, agli indigeni, a tutte queste diversità. La rivoluzione cubana ha avuto sempre questa apertura. Un’apertura dentro i principi socialisti. Non ha mai negato i principi. Perché si trovano persone aperte che dimenticano i principi. No, i principi non si dimenticano e la gente apprezza queste cose. Per uomini come Evo Morales o Chavez e molti altri la rivoluzione cubana con la sua apertura, con il grande sentimento di umanità molto forte che è presente nel popolo cubano, è stata un insegnamento, una lezione. Sempre in una prospettiva di internazionalismo e di solidarietà. Questi sono i principali contributi di Cuba. Mentre il pensiero della rivoluzione, il nesso tra il sociale e il nazionale-rivoluzionario sono molto importanti nelle condizioni dell’America Latina e possono essere utilizzati, certo senza copiare, da altri movimenti.
In che modo le forze politiche sempre meno numerose della sinistra anticapitalista europea potrebbero trarre ispirazione dall’esperienza latinoamericana?
Mio caro amico, questa è una domanda molto difficile. Non ho una risposta per questo. Si può dire che per noi rivoluzionari e marxisti latinoamericani quello che è successo con la sinistra, il marxismo, socialisti e comunisti in Europa, è un’enorme preoccupazione. Io sono fortemente internazionalista, certo sono latinoamericana, ma quello che è successo in Europa è anche parte di me, non è una cosa estranea, lontana. Ho anche vissuto in Europa, in Germania e in Francia. Visito periodicamente l’Europa. Probabilmente si sono fatti molti sbagli, ma la mia conoscenza non è sufficiente per dire quali e non voglio improvvisare. Ho la speranza che le forze di sinistra in molti paesi europei facciano una critica e un’autocritica profonda e si sviluppino in un cammino vicino ai lavoratori, ai movimenti popolari europei. E’ certo che ogni situazione è diversa e non si può tradurre meccanicamente. Bisogna ritrovare la capacità di rappresentare, come la sinistra europea ha fatto nel passato, le forze popolari, le sue aspettative, le sue speranze, i suoi bisogni.
Donatello Santarone
http://www.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=05/08/2009
2 commenti:
Grazie Elio. Ti abbraccio. Marghi
Mi fa piacere che ti interessi Marghi. Non avevo dubbi in tal senso, Isabel Monal è una persona che non può che suscitare interessi in chi è interessato a capire la realtà del continente latinoamericano.
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