
Di Gillo Pontecorvo, il grande regista recentemente scomparso, non è che se ne sia parlato molto. Aldilà della retorica che sempre accompagna la morte di un personaggio famoso, non è stata colta l’occasione per dibattere sull’attualità della sua opera. Il suo film più conosciuto è sicuramente La battaglia di Algeri. Il film di Pontecorvo descrive in maniera quasi documentale una delle più sanguinose lotte anti-imperialiste del secolo scorso, la ribellione, dal 1954 al ’62, del popolo algerino contro il dominio coloniale francese. Durante il conflitto durato 8 anni le forze armate francesi e le loro milizie alleate uccisero un milione di algerini. A Parigi il governo socialista, il cui ministro dell’interno era François Mitterrand, emanò l’Atto di Poteri Speciali che dava alle forze armate carta bianca in Algeria. Assassini, torture e stupri erano all’ordine del giorno. Un generale francese si vantò così: “Ci venne data libertà di fare ciò che consideravamo necessario.” Decine di migliaia di uomini, donne e bambini innocenti vennero torturati, ad Algeri più di tremila persone sono scomparse dopo essere state arrestate dai francesi. Per attuare il programma di “pacificazione” i francesi espulsero due milioni di algerini dalle proprie case, molti li confinarono in campi di concentramento circondati da filo spinato, e distrussero più di ottomila villaggi. Quasi due milioni di soldati francesi furono impiegati nel conflitto, tra loro l’attuale presidente Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, il leader razzista del “Fronte Nazionale”. Le Pen fu accusato di essere stato uno dei torturatori di prigionieri nel 1957.
Rivedendo il film di Pontecorvo non ho potuto fare a meno di notare la perfetta similitudine tra quanto descritto dal regista quarant’anni fa e quanto sta avvenendo oggi. L’oppressione colonialista contemporanea sembra ripetere alla perfezione un copione ormai drammaticamente sperimentato nel secolo scorso. Gli assedi, le retate di massa e le torture mostrate nel film, prefigurano gli attacchi militari d’Israele sui palestinesi e i metodi usati dalle forze armate statunitensi in Irak e in Afganistan.
Quando il film uscì per la prima volta in Inghilterra e negli Stati Uniti, le scene che mostrano la tortura con la fiamma ossidrica, l’elettroshock, e l’affogamento parziale dei prigionieri furono censurate. Inoltre viene usata della musica assordante per soffocare le grida delle vittime, una tecnica impiegata dalla polizia militare e dai servizi segreti statunitensi ad Abu Ghraib e Guantanamo.
Ad agosto del 2003 il dipartimento di Operazioni Speciali e Conflitto a Bassa Intensità del Pentagono decise di mostrare La Battaglia di Algeri ai propri dipendenti. Ciò accadde dopo l’intensificarsi della di resistenza irachena contro le forze armate statunitensi e alla conseguente richiesta del Segretario della Difesa americano Donald Rumsfeld di “migliorare l’intelligence” attraverso interrogatori in Irak e altrove. David Ignatius, scrivendo per il Washington Post, fece l’assurda dichiarazione che era un “segnale di speranza che le forze armate pensano creativamente e anticonvenzionalmente sull’Irak.” Il vero scopo della proiezione del film era invece quello di incoraggiare attacchi militari e torture ancora piú sadiche ed illegali sui prigionieri.
Se chi ha il compito di informare non sa cogliere nell’opera di un artista le similitudini con gli eventi che oggi drammaticamente stanno terrorizzando il pianeta, non ci resta che renderci conto che stiamo vivendo in un regime dove la propaganda mediatica è diventata un’arma micidiale al servizio dell’imperialismo. Ci hanno sempre raccontato di come la dittatura fascista, il nazismo ed il comunismo sovietico abbiano utilizzato la propaganda per ottenere il consenso delle masse. Ma se abbiamo il coraggio di giudicare senza ipocrisie il comportamento degli attuali mezzi d’informazione, non possiamo che renderci conto che quelle propagande erano da dilettanti al confronto di quelle impiegate oggigiorno. Proviamo a pensare come la “cultura” americana abbia ormai contaminato ogni angolo del pianeta per raccontare al mondo della grande bontà del “paese più democratico del mondo” che si sacrifica per estendere la democrazia a quei paesi che si ostinano a negarla. Pensiamo alla diffusione di film, libri, musica e quant’altro, che hanno invaso il pianeta per raccontarci la loro favola. Questa “democrazia” non ha bisogno di usare i classici mezzi coercitivi per indurre chi opera nel campo dell’informazione e della diffusione dei prodotti culturali a “lavorare” per loro. Utilizzano i più grandi mezzi di persuasione che siano mai esistiti: il denaro ed il mercato. Se stai con loro avrai fama e soldi, se ti metti contro avrai fame e morte.
Dopo il propagandato “Libro nero del comunismo”, se ne avessi le capacità, il tempo ed i mezzi, scriverei il “Libro nero dell’Imperialismo”. Ci sarebbe molto da raccontare su come l’imperialismo USA sia intervenuto e stia intervenendo, e con quali mezzi, per imporre i propri interessi e la propria volontà a tutti i popoli del pianeta. Visto che per una sola persona sarebbe un’opera titanica, sarebbe il caso di scriverlo tutti insieme. Un’opera collettiva frutto del lavoro di quell’universo progressista formato da tante persone semplici, onesti lavoratori, artisti, giornalisti, scrittori e uomini di cultura. Anziché ognuno a coltivare il proprio orticello, tutti insieme a raccontare la pura verità, per un’opera che sia di monito a tutte le generazioni presenti e future. Perché l’impegno di tante persone che, come Gillo Pontecorvo, hanno speso la loro vita per la costruzione di un mondo migliore, non vada disperso, travolto dall’ondata di spazzatura che sta sommergendo il pianeta. Ovviamente Gianpaolo Pansa non sarà dei nostri….